Tuesday, November 29, 2011

La povertà e le passioncelle

Filotea, Parte Terza, Capitoli 16-29
Gruppo in lingua italiana: 
Emmanuel Camilleri

Assenti i compagni, nostro Manuel ha continuato la riflessione
28 novembre 2011

Non basta essere poveri di fatto, ma si deve cercare di esserlo anche nello spirito perchè è nel cuore che si svolge il vero distaccamento delle cose materiali. Filotea non è sola in questo; stà nella compagnia del Signore, della Madonna e di tanti santi. La povertà è venuta ad incontrare Filotea invece che lei se ne andata alla ricerca di essa. La si deve abbracciarla perchè è l’amica del cuore di Gesù.

Due sono i privilegi della povertà di Filotea. In primo luogo non l’ha scelta lei ma è la volontà di Dio. Quello che riceviamo dalla Sua volontà sarebbe gradito di più a Lui se lo accettiamo volontieri. In secondo privilegio è di essere povera sul serio, cioè non vivere una povertà per ricevere lode, essere corteggiata o aiutata e assistita. Se questa è l’intenzione, allora non è una vera povertà. Perciò non si deve lamentarsi della propria povertà. Se le dispiace perchè è povera, allora non è povera nello spirito. È assurdo, daltronde, di volere essere povera ma allo stesso tempo non vuole patire gli inconvenienti. Non si deve vergognarsi di essere povera.

Cammino di fede… o forse una stradetta maltese (Lunzjata)
Il nostro Santo poi passa a parlare della amicizia. L’amore occupa il primo posto nell’anima perciò è importante di essere sempre attenti alle scelte che si fanno. Se si ama le cose cattive, di conseguenza di diventa cattivi. L’amicizia è l’amore più pericoloso perchè è fondata sulla comunicazione. L’amicizia ci fa partecipare delle qualità della persona che amiamo e di conseguenza la scelta degli amici dev’essere saggia. Si deve ricordare che non ogni amore è amicizia. Si può amare senza essere riamati; non basta che sia ricambiato l’amore: le parti che si amano, devono saperlo; coloro che si amano, devono avere qualche bene in comune. L’amicizia “si differenzia secondo la diversità dei modi di comunicare e i modi di comunicare si differenziano secondo i beni che costituiscono l’oggetto dello scambio: se si tratta di beni falsi e vani, l’amicizia è falsa e vana; se si tratta di beni veri, l’amicizia è vera; e migliori saranno i beni, migliore sarà l’amicizia”.

L’amicizia non si deve fondare sullo scambio del paicere dei sensi; questa è un’ amicizia “grossolana” e non merita neanchè il nome di amicizia. Anche quella fondata su virtù frivole e inutili perchè queste virtù dipendono dai sensi: “per tale ragione le amicizie che hanno tali fondamenti si chiamano sensuali, vane e frivole e meriterebbero più di essere chiamate follie che amicizie”.

Per quanto riguarda le passioncelle (in Inglese Flirts o Fond loves) sono quelle amicizie “allegre” che non portano all’intenzione di sposarsi. Il Santo li chiama “aborti” o “fantasie di amicizie”. A queste non si deve neanchè dare il nome di amicizie perchè sono “vuote e senza senso”. L’amore vero non si basa su queste passioncelle. Molti sono spinti per appagare il cuore del dare e ricevere amore senza riflessione interna. Altri invece si lasciano andare per la vanità; altri dalla tendenza all’amore e dalla vanità perchè vogliono aggiungere un pò di “gloria”. Queste amicizie “sono cattive, folli e vane: cattive, perché vengono e finiscono nel peccato della carne; rubano l’amore, e di conseguenza anche il cuore, a Dio, alla moglie, al marito, a chi era dovuto; folli perché non hanno basi, né motivazioni serie; vane, perché non recano alcuna utilità, nessun onore, nessuna gioia”. Queste anime sono deboli e non sanno cosa vogliono dalla vita; per questo “la loro brama è insaziabile ed alimenta, senza soste, nel loro cuore, eterne diffidenze, gelosie e tormenti”. È pericoloso starci al gioco di qualche passioncella. Poco a poco si cominicia a diventare dipendente su essa. C’è il rischio che l’anima sia presa da un grande fuoco che la danneggia seriamente. L’amore va vissuto profondamente e non incantato. Non si deve rischiare in nessun modo la parte più nobile dell’anima, cioè l’amore. Dio vuole “l’uomo solo per l’anima, l’anima solo per la volontà e la volontà solo per l’amore”. Dio nostro è così grande che hariservato l’amore della nostra anima per lui. Cosa diremo quando Lui ci chiede di dare conto delle nostre azioni? Il noce dannegga i campi dove è piantato perchè assorbe tutte le sostanze della terra. Le sue foglie, grandi e robusti, creano danno. Lo stesso va detto per le passioncelle che “producono danni simili all’anima; l’occupano talmente e condizionano così potentemente i suoi movimenti, che essa non è più disponibile per alcun’altra opera buona; le foglie, ossia i chiacchiericci, i divertimento e i corteggiamenti sono così frequenti che non lasciano spazio; infine attirano così numerose le tentazioni, le distrazioni, i sospetti e tutto ciò che vi si accompagna, sicché il cuore ne è rovinato e calpestato”. Essi allontano l’amore celeste e il timor di Dio.

L’amore vero va conservato con le amicizie vere
L’amore vero e autentico va conservato con le amicizie vere. Si deve amare tutti, è vero, ma non si deve legare a tutti, senza alcun discernmento profondo. Le vere amicizie sono quelle con persone che possono operare con la Filotea un scambio di cose virtuose. Se lo scambio avverrà “nel campo della carità, della devozione, della perfezione cristiana, allora sì, che si tratterà di un’amicizia perfetta. Sarà ottima perché viene da Dio, ottima perché tende a Dio, ottima perché il suo legame è Dio, ottima perché sarà eterna in Dio”.

Amare sulla terra come si ama in cielo è una possibilità che nasce dalle amicizie spirituali. Le altre amicizie sembrano per il Santo come “fantasmi” e i loro legame è come “anelli di vetro”. Filotea deve stringere amicizie del tipo spirituale. Nei conventi e nei monasteri non sorge questo problema. Ma per quelli che vivono nel mondo e abbracciano la vera virtù, è indispensabile avere queste amicizie. Comunque, la perfezione non consiste nel non avere delle altre amicizie, ma consiste nel averne una “buona, santa e bella”.

C’è un miele, dice il Santo, il miele di Eraclea, che assomiglia molto il miele comune. Ma il miele di Eraclea è molto velenoso. Si può dare il caso che uno prendesse il primo invence del secondo. La stessa attenzione si deve fare nel scegliere le amicizie e d’essere capaci di fare una distinzione tra le amicizie cattive e quelle buone. Si deve sempre valutare l’amore vero e autentico: “Si comincia sempre dall’amore virtuoso, ma, se non si è molto saggi, si insinua presto l’amore frivolo, poi si passa all’amore sensuale, poi a quello carnale”. Ma il pericolo esiste anche nell’amore spirituale “benché in questo sia molto più difficile la confusione e l’equivoco, perché la sua purezza e il suo nitore rendono più evidenti le brutture che Satana vuole insinuarvi: ecco perché il diavolo, quando ci prova, fa le cose con maggior finezza e tenta di far scivolare le brutture quasi impercettibilmente”. Distinguere l’amicizia del mondo da quella che è santa e come distinguere tra il miele velonoso e quello buono. Il miele velenoso “una volta ingoiato, provoca dei capogiri; allo stesso modo l’amicizia futile provoca dei disorientamenti di spirito che rendono insicura la persona nella castità e nella devozione”. Invece, l’amicizia santa guarda l’amore con occhi semplici e casti e sa controllare le cortesie.

Il miele dell’amicizia cattiva è velenoso (duomo, Valetta) 

E come il miele di Eraclea turba la vista, così le amicizie mondane turbano il senno nel senso che quelli che ne sono colpiti pensano che ne stanno facendo la cosa giusta, invece stanno facendo quella sbagliata. Molte volte queste persone cercano anche delle giustificazioni per il loro agire. Invece l’amicizia santa “ha gli occhi luminosi e non si nasconde, anzi si fa vedere volentieri dalla gente per bene”. E come il miele velenoso lascia un sapore forte e amaro avviene lo stesso nelle false amicizie “che si tramutano e finiscono in parole e richieste carnali e degne delle fogne; in caso di rifiuto, esploderanno le ingiurie, le calunnie, le imposture, le tristezze, le confessioni e le gelosie che si concludono quasi sempre nell’abbrutimento e in isterismi; l’amicizia pulita è sempre uguale nell’onestà, educata e amabile, e si muta soltanto in una unione degli spiriti più pura e più perfetta, immagine vivente dell’amicizia beata che regna in Cielo”.

“Ma che cosa fare per combattere gli amori futili, le stranezze, le pazzie, le brutture cui ho accennato?”, chiede il Santo savoiardo. Filotea deve volgersi dall’altra parte e subito si mette in preghiera davanti al Signore dove lei troverà rifugio da quelle “piccole volpi”. Non si deve scendere mai a patti con il nemico. In tali circostanze la Filotea dev’essere intransigente specialmente nel sentire degli inviti maliziosi che vengono dal male. Filotea deve anche ricordare che lei ha consacrato il suo cuore a Dio allora sarebbe “un sacrilegio sottrargliene anche una briciola soltanto”. Se è indispensabile per salvare la propria anima, Filotea è invitata anche di allontanarsi dalle persone che possono farla del male spiritualmente. Non deve avere nessun riguardo per un amore che è contrario all’amore di Dio.

La vera amicizia richiede un intenso scambio tra coloro che si vogliono bene. Questo è vero specialmente quando l’affetto tra i due amici arriva alla stima. In questo caso, allora, si rischia di aprire il cuore all’amico con molta larghezza e “con essa, entrano con facilità in noi tutte le sue tendenze e le sue opinioni, poco importa se siano buone o cattive”. A questo proposito e chiaro che si deve voler bene all’amico, nonostante le sue imperfezioni ma “non bisogna voler bene alle sue imperfezioni e prenderle su di noi; l’amicizia richiede che ci comunichiamo il bene, non il male”. Questo è da evitare. Ciascuno ne ha già abbastanza dei propri difetti; non c’è bisogno di caricarsi anche di quelli degli altri. L’amicizia vera “non soltanto non lo richiede, ma al contrario, ci obbliga a darci reciprocamente una mano per liberarci da tutte le forme di imperfezione. È fuor di dubbio che bisogna sopportare con dolcezza l’amico nelle sue imperfezioni, ma non incoraggiarlo in quelle, e ancor meno trasferirle in noi”. Questo per quello che riguarda le imperfezioni; per quello riguarda il peccato non bisogna accettarli e neanche sopportarli, anche da un amico. In questo caso, l’amico diventa nemico e allora merita di perdere la nostra amicizia.

Francesco di Sales non si fida della riforma esteriore
Il nostro Santo poi passa a parlare della mortificazione esteriore. Lui dice che disapprova i metodi usati da quelli che vogliono riformare l’uomo dall’esterno. Per riformare l’uomo si deve cominciare da dentro, dal cuore, perchè il cuore “è la sorgente la sorgente delle azioni, per cui le azioni sono secondo il cuore”. Il Singore chiede a ciascuno di noi di metterlo come sigillo sui nostri cuori. Chi ha Gesù nel cuore di conseguenza lo avrà subito in tutte le sue azioni. Siccome tutto quello che viene dal cuore è una riflessione della persona, il Santo desidera incidere un motto sul cuore di Filotea: Viva Gesù! In questo modo la vita di Filotea produrrà, in seguito, i furtti della vita devota. La Filotea possa così irradiare Gesù ovunque lei sia, in tutte le cose che dirà e che farà.

Il cuore, comunque, ha bisogno d’essere educato “su come darsi una linea di condotta e un comportamento, di modo che non si manifesti soltanto la santa devozione, ma anche una profonda saggezza con altrettanta discrezione”. Poi dà acluni consigli per arrivare a questo, specialmente sulla disciplina personale per mortificare il copro e i sensi: “il digiuno ci dà modo di dominare i nostri appetiti, e mantenere la sensualità e il corpo sottomessi allo spirito”. Ma anche il lavoro è essenziale per mortificare se stessi: “Se il lavoro che fai ti è necessario, o è molto utile alla gloria di Dio, sono dei parere che sia meglio per te affrontare la fatica del lavoro che quella del digiuno; questo è il pensiero della Chiesa...” Anzi, in alcune occasioni è meglio fare del bene tramite il lavoro proprio che digunare: “C’è chi fa fatica a digiunare, chi invece a servire gli ammalati, un altro a visitare i prigionieri, a confessare, a predicare, consolare gli afflitti, pregare ed altri esercizi simili: queste ultime fatiche valgono di più di quella del digiuno, perché, oltre a darci ugualmente il dominio sulla carne, in Più ci offrono frutti molto più apprezzabili”. Questo è un modo come sanare i nostri vizi. Più necessario, comunque, è purificare i propri affetti e rinnovare i propri cuori.

Ci sono due estremi da fuggire per aiutarsi nella vita devota, cioè ricercare le conversazioni e fuggirle. Perchè fuggire “dalla conversazione tradisce un senso di superiorità e disprezzo nei confronti del prossimo; la ricerca, per contro, tradisce tendenza all’ozio e alla professione di perditempo”. Si deve creare un bilancio tra le conversazioni e i momenti di solitudine personale.

Amare il prossimo è una priorità, ma amare noi stessi è anche importante. Occorre perciò di trovare dei momenti quando è necessario, che ci troviamo con noi stessi, invece che in compagnia del prossimo. Ci sono delle conversazioni cattive, specialmente quelle che tengono con “intenzione perversa”. Da queste si deve stare lontani. Ci sono anche conversazioni che “hanno il solo scopo di divertire”. Anche se queste ci aiutano a distrarci un pò dalle nostre preoccupazioni, non dobbiamo “consacrarci” ad esse. Le conversazioni utili sono quelle delle persone devote. È una grazia incontrasi con queste persone. Si incontra tutti con gioia e carità, eccetto con quelle persone che possono danneggiare la nostra anima.

Le conversazioni utili delle persone devote (Sliema promendade)
In oltre alla solitudine mentale – della quale lui aveva parlato precedentemente in un’altra parte – il Santo suggerisce anche la solitudine locale e reale, non una solitduine del deserto ma quella che si può fare anche nella propria stanza, nel giardino o altrove. In questi luoghi la Filotea avrà la possibilità di “...raccogliere il tuo spirito nel tuo cuore e ritemprare la tua anima con buoni propositi e santi pensieri, o con qualche buona lettura”. Apparte alcuni Santi che hanno usato questo modo, il Signore nostro Gesù Cristo è il nostro modello per eccellenza. Lui ci chiama ad andare in disparte e riposare un pò.

Volendo essere delle persone devote non si mostra soltanto nel parlare, nelle virtù e nella preghiera e i Sacramenti. L’impegno si dimostra anche nel modo uno veste. È importante come uno si mantiene esternamente e come mantiene anche l’ordine. Si deve vestirsi secondo la propria condizione.

Il parlare da indicazioni di quello che siamo veramente dal di dentro. I medici fanno un opinione su tutta la salute della persona guardando e esaminando la lingua della persona. Lo stesso va detto per le nostre parole: esse sono un esame di salute della nostra anima. Se Filotea ama Dio, essa deve parlare di Lui “nelle conversazioni familiari con i i tuoi domestici, con gli amici, con i vicini: perché, la bocca del giusto mediterà la sapienza, e la sua lingua parlerà con giudizio. A somiglianza delle api, che con la loro boccuccia trattano solo il miele, la tua lingua sarà sempre profumata del suo Dio, e il tuo più grande piacere sarà quello di sentir fluire dalle tue labbra lodi e benedizioni al suo nome, proprio come si dice di S. Francesco d’Assisi, il quale, dopo che aveva pronunciato il santo nome del Signore, ripassava la lingua sulle labbra per continuare ad assaporare la più grande dolcezza del mondo”.

Si deve rocrdare che sta parlando di Dio e perciò lo deve fare con devozione e rispetto, con spirito di dolcezza e carità e non con un tono di predicazione. E parlando di Dio e di devozione lo si deve fare con convinzione e attenzione, non per soddisfare se stessa. Lui dà questo parere per impedire la Filotea “di cadere in una sciocca vanità che si riscontra in molti che fanno professione di persone devote. Ad ogni piè sospinto dicono parole sante e piene di fervore, quasi per modo di battute, senza nemmeno pensarci. Dopo averle dette sono convinti di essere lo specchio delle parole che hanno detto; invece, proprio non lo sono!”

Filotea dev’essere attenta a non lasciar sfuggire alcuna parola sconveniente, anche se non c’è la cattiva intenzione, le persone possono capirla in un altro modo: “Se la parola sconveniente cade in un cuore debole, si estende e si allarga come una goccia d’olio su un lenzuolo; e qualche volta si impadronisce in modo tale del cuore da riempirlo di mille pensieri e tentazioni oscene”.

Come il veleno per il corpo entra dalla bocca, quello per il cuore entra dall’orecchio. Molte volte si “uccidono” le persone per colpa della lingua: “Se gli altri non sono morti non è perché mancasse la volontà di uccidere.Nessuno venga a dirmi che non ci pensa: Nostro Signore, che conosce i pensieri, ha detto che la bocca parla dell’abbondanza del cuore. Se il pensiero non ce lo mettiamo noi, sta pur certa che ce lo mette il diavolo e anche molto! t il suo segreto: servirsi di cattive parole per trafiggere i cuori di chi gli capita a tiro”.

Le parole indecenti non vanno neanche pensate. Ma se “queste parole indecenti sono dette di nascosto, in modo studiato e sottile, sono ancora più velenose; infatti più un dardo è appuntito e più profondamente penetra nel corpo; così, più una parola cattiva è sottile e più penetra nei nostri cuori”.

Un altro vizio da evitare è quello di essere beffardi. È uno dei difetti peggiori dello spirito e “Dio odia molto questo vizio e sappiamo che lo ha punito con castighi esemplari. Nessun vizio è così contrario alla carità, e più ancora alla devozione, quanto il disprezzo e la derisione del prossimo”. La derisione e la beffa sono un peccato molto grave e da evitare perchè la derisione è il modo peggiore con il quale uno può offendere il prossimo con le parole. Sono diversi gli scherzi che si fa con gli amici; ma anche in questi dobbiamo “stare attenti a non passare dagli scherzi sereni alla derisione. La derisione provoca al riso per mancanza di stima e per disprezzo del prossimo; invece la battuta allegra e la burla scherzosa provocano al riso per la “ trovata “, gli accostamenti imprevedibili fatti in confidenza e schiettezza amichevole; e sempre con molta cortesia di linguaggio”.

Il Signore ci invita di ascoltare cose buone
Il Signore ci invita di non giudicare per non essere giudicati. Il Santo dice che non dobbiamo giudare nessuno. I giudizi “temerari sono severamente riprovati da Dio! I giudizi emessi dai figli degli uomini sono temerari perché gli uomini non sono autorizzati ad emettere giudizi gli uni sugli altri”; il giudizio spetta soltanto a Dio. “Per non correre il rischio di essere giudicati, è assolutamente necessario evitare di giudicare gli altri: fermiamoci invece a giudicare noi stessi”. Noi facciamo il contrario: giudichiamo gli altri con prontezza e ci dimentichiamo del giudizio di noi stessi.

Quando facciamo dei giudizi temerari o per orgolio o per malizia, dobbiamo subito cercare di rimediare. Come? Se deve bere il sacro vino della carità, “ti libererai da quegli umori perversi che ti fanno dare giudizi temerari. La carità teme l’incontro con il male, tanto meno lo cerca; quando ci si imbatte volge altrove lo sguardo e fa finta di niente, anzi chiude gli occhi prima di vederlo, alle prime avvisaglie e finisce con il credere, con santa semplicità, che quello non era male, ma soltanto un’ombra o un fantasma del male; se poi l’evidenza la costringe ad ammettere che è proprio male, se ne allontana immediatamente e cerca di dimenticarne l’aspetto”. Per tutti i mali il grande rimedio è la carità; in modo particolare per questo. Il peccato del giudizio temerario è un’itterizia spirituale, che, agli occhi di coloro che ne sono affetti, trasforma tutte le cose in cattive; chi vuole guarirne, non deve curare gli occhi, ossia l’intelletto, ma gli affetti, che sono i piedi dell’anima: se i tuoi affetti sono dolci, se sono caritatevoli, anche i tuoi giudizi lo saranno.

Allora non è mai giusto giudicare il prossimo? Chiede il Santo. “No, mai! Dio solo, Filotea, che giudica i colpevoli secondo giustizia. È vero che si serve della voce dei magistrati per renderla intelligibile alle nostre orecchie: sono il suo tramite e i suoi interpreti e devono pronunciare soltanto quello che hanno sentito da Lui, quasi come oracoli. Se agiscono diversamente, seguendo le loro passioni, in tal caso chi giudica sono loro e dovranno renderne conto essendo a loro volta giudicati, perché agli uomini, in quanto uomini, è proibito di giudicare”.

«Agli uomini, in quanto uomini, è proibito di giudicare»
Il giudizio temerario porta alla maldicenza. Esso “causa preoccupazione, disprezzo del prossimo, orgoglio e compiacimento in se stessi e cento altri effetti negativi, tra i quali il primo posto spetta alla maldicenza, vera peste delle conversazioni”. Se riusciamo a liberarci delle maldicenze, il mondo sarebbe uno migliore! “Per questo ti scongiuro, carissima Filotea, di non sparlare mai di alcuno, né direttamente, né indirettamente. Sta attenta a non attribuire delitti e peccati inesistenti al prossimo, a non svelare quelli rimasti segreti, a non gonfiare quelli conosciuti, a non interpretare in senso negativo il bene fatto, a non negare il bene che sai esistere in qualcuno, a non fingere di ignorarlo, tanto meno poi devi sminuirlo a parole”. Se si agisce in questo modo agendo si offende seriamente Dio.

Non si devono dire delle cose sulle persone, anche se queste si vedono o si fanno nella nostra presenza. Francesco fa un esempio semplice “Non dire mai: Il tale è un ubriacone, anche se l’hai visto ubriaco davvero; quello è un adultero, perché l’hai visto in adulterio; è incestuoso perché l’hai sorpreso in quella disgrazia; una sola azione non ti autorizza a classificare la gente”. Generalizzare sulle persone, è un peccato grave. In questo modo “condanniamo” le persone per sempre e li facciamo male negli occhi degli altri.

Fuggire le maldeicenze è importante e se Filotea vuole fuggire “non devi favorire, accarezzare, e nutrire gli altri vizi; ma con semplicità e franchezza, devi dire male del male e biasimare le cose da biasimare; solo se agiamo in questo modo diamo gloria a Dio”. Filotea deve anche fare il discernimento oggettivo sulle le maldicenze che sente, cioè, non si deve credere a tutto e si deve pregare per il maldicente e di mostrare le cose positive nella persona accusata. In questo modo, la carità verso il prossimo è sublime.

Sintesi di Manuel Camilleri
Fotografia di Joe Boenzi

Monday, November 28, 2011

Fidelity, simplicity, sincerity and truth

INTRODUCTION TO THE DEVOUT LIFE
Part III, Chapters 16 – 31
28 November 2011
John Baptist, Amaladoss, Lijo
English-speaking Group: John Baptist Barnabas, Lijo Vadakkan, Amaladoss Sanjone

In this second group of chapters of Part Three, St. Francis De Sales speaks about accepting happily the poverty and all it's inconveniences and being rich in spirit.  Two things to be remembered about being poor. First of all, it is not your choice that has made you poor but it is god's will that you are poor.  Second privilege is that your poverty is much more than the secular poverty which one suffers out of necessity. But yours taken out religious obedience has a greater significance. Jesus Christ is an apt example. He was born, lived, and died in poverty. Poverty was His nurse throughout his entire life.

The saint offers a beautiful definition of marriage.  It is not just a mere sensual intercourse and if it were so it wouldn't deserve the name marriage, but in as much as it involves life, industry, the personality, in other words the whole life of the persons, marriage rightly understood is a beautiful example of right friendship. Moreover, a right and pure form of Holy friendship is Marriage.  

Marriage, rightly understood, is the call to holy friendship
All relationships without intention of marriage can be called frivolous friendships. Francis de Sales speaks of these kind of friendships as walnut tree in a vineyard, it such away all nutrition from the soil, it blocks the sun and attract people to the field to pluck its fruits and in the bargain the whole field gets trampled. These kind of friendships(fond loves) not only banish heavenly love but also the fear of God from the soul, weaken the mind, and lower a man’s reputation. In a word, they are a pastime at court but the plague itself within one’s heart.  

Perfection consists not in having no friendships, but in having only those which are good, holy, and sacred.  In a mutual friendship if the bond of friendship is mutual edification, perfection in Christian charity etc. it is pleasing to god because it is from god and proceeds to god.  Also here the saint speaks of the need to have good, holy friendships.  Just as our lord had some particular friends or other apostles and even many saints had good friends, individual friendships so too it is important for life.  

Holy friendship has eyes that are clear and modest, caresses that are pure and sincere. Chaste friendship is at all times and all ways honest, courteous, and amiable. The saint speaks how one can distinguish false friendships from the right ones.  Just the poisonous honey is much more sweet compared to the ordinary honey, so too false friendship is also much sweeter in its appearance.  One should be able to distinguish between both.  

Heart and ear speak to one another. Our heart inhales through the ears and exhales through the mouth. Therefore pay attention to all that you hear.  It can have tremendous influence on your life.  Suppose one has been in an evil friendship, he says if possible to change the place and it can be of some help to a certain extend (but it is clear that this has been a method of the past.  But there are moments when mere changing of places does not always prove useful.  

Friendship requires us to share the good, not evil. Genuine, living friendship cannot continue in the midst of sin. It lives only on true virtue. The saint says that all good friendships should be aimed at bettering the person.  We should not leave un corrected any vice in the other person.  Only such is a true and noble friendship.  No imitation of vices in the other person but should try to imitate the good qualities in the other person. Thus there should be a mutual edification that has to take place in a good friendship.  

The saint gives beautiful lessons on fasting. The devil fears a soul that can fast.  Very clear that Don Bosco has been mightily influenced.  It is not so much in doing lot of penances, but eat what is set before you without making too much choices.  Both overfed and underfed can be a block for your spirituality.  Both these situations can hinder you from raising your heart to God.  In everything moderation as the watchword to be kept in mind. If our work is necessary for us to contribute to God’s glory, we must prefer that we endure the pains of work rather than of fasting. Moderate use of the discipline has wonderful power to awaken the spirit of devotion.

Francis de Sales adds some lessons on fasting
The saint also speaks about our life in the society and how, one should go about in dealing with people in the society.  He says that it is important to deal with good people and just as vine trees grown among olive trees bear better fruit so too, the men grown among good men bring about good fruits.  And he speaks about dressing well and neatly with simplicity and moderation.  Cleanliness as a manifestation of your internal disposition. 

Francis de Sales gives a beautiful description about the use of tongue.  Just as we are so quick to point out where we have pain by touching that part so too the tongue touches that point which we are disturbed about.  The doctors often verify the sickness of a person from looking at his tongue and so too the health of our inner self is learned looking at the use of our tongues.  The mouth speaks from the abundance of our heart. Hence, always speak of God as of God, that is, reverently and devoutly, not with outward show or affectation but in a spirit of meekness, charity, and humility. Also he speaks about the false judgements and the use of the tongue and how, one has to be careful.  If a man does not offend in word, he is a perfect man. Those who have modesty and chastity, the angelic virtue, within their hearts, always speak chaste and modest words. “Out of fullness of the heart the mouth speaks”.

The saint speaks about rash judgement. Rash judgements are offensive to God. To avoid future judgement it is equally necessary both refrain from judging others and to judge ourselves. The sin of rash judgement is truly spiritual jaundice and causes all things to appear evil to the eyes of those infected with it. Whoever wants to be cured must apply remedies not to his eyes or intellect but to his affections, which are feet in relation to his soul. If your reflections are kind, your judgements will also be kind. If your affections are charitable, your judgements will be the same.

The man who could free the world of slander would free it of a large share of its sins and iniquity. Whoever robs his neighbour of his good name in addition to committing sin has the obligation of making reparation, although this must be done in different ways according to the different types of slander. No man can enter heaven in possession of another man’s property, and of all external goods a good name is the best. Slander is a form of murder. 

Fidelity, simplicity, and sincerity of speech are certainly a great ornament of a Christian life. Our language should be restrained, frank, sincere, candid, unaffected and honest. The saint recommends that while it is not always advisable to say all that is true, it is never permissible to speak against the truth. Therefore, we must become accustomed never to tell a deliberate lie whether to excuse ourselves or for some other purposes, remembering always that God is the “God of truth”. With regard to speech, we must not look to the quantity but rather to the quality of our words.


Report by John Baptist Barnabas
Photos by Joe

La Filotea e le amicizie

FILOTEA  - III parte - Capitoli da XVI a XXIX

28 novembre 2011

Il nostro gruppo è composto da: Gabor Hartai, Choi Jin Won Marco, César Oberto e Virgilio Radici.
Quello messo in evidenza sono le IMMAGINI; il resto ciò che mi ha colpito. Tra parentesi tonde vi sono le pagine (edizione Paoline a cura di R. Balboni).

Virgilio, Jin-Won, Gabor
Capitolo XVI - COME PRATICARE LA RICCHEZZA DI SPIRITO NELLA POVERTÀ REALE 

«[...]; ciò che riceviamo dalla volontà di Dio senza altri interventi, gli è gradito di più, se noi l’accettiamo di cuore e per amore della sua santa volontà; quando c’è poco di nostro, c’è molto di Dio.
L’accettazione pura e semplice della volontà di Dio rende purissima la sofferenza.
[...] Così è abitualmente la povertà della gente che vive nel mondo: non sono poveri perché l’hanno voluto, ma perché ci si sono trovati, e di questo non si tiene conto; e per il fatto che di questo non si tiene conto, la loro povertà è più povera di quella dei religiosi, benché, d’altra parte, questa abbia un valore più grande e raccomandabile, a motivo del voto e dell’intenzione per cui è stata scelta» (179).

Capitolo XVII - L’AMICIZIA E, PRIMA DI TUTTO, LA CATTIVA E LA FRIVOLA

L’amicizia si differenzia secondo la diversità dei modi di comunicare e i modi di comunicare si differenziano secondo i beni che costituiscono l’oggetto dello scambio: se si tratta di beni falsi e vani, l’amicizia è falsa e vana; se si tratta di beni veri, l’amicizia è vera; e migliori saranno i beni, migliore sarà l’amicizia. Infatti, allo stesso modo che il miele raccolto dalle gemme dei fiori più deliziosi è il migliore, così l’amore fondato sullo scambio di un bene squisito è ottimo (180-181).
«L’amicizia fondata sullo scambio del piacere dei sensi è grossolana e non merita il nome di amicizia; così pure quella fondata su virtù frivole e inutili, perché sono virtù che dipendono dai sensi. 
Do il nome di piaceri dei sensi a quelli che sono legati in modo diretto e principale ai sensi esteriori, quali sono il piacere di ammirare la bellezza, di ascoltare una voce dolce, di toccare e simili» (181).

Capitolo XVIII - LE PASSIONCELLE (I FLIRTS)

Quando queste allegre amicizie [si riferisce al capitolo precedente] hanno luogo tra persone di diverso sesso, senza alcuna intenzione di giungere al matrimonio, si chiamano passioncelle; [...] (182).
«Il noce reca molto danno ai campi e alle vigne in cui è piantato, perché è grande ed assorbe tutte le sostanze della terra, che così non riesce a nutrire anche le altre piante; il suo fogliame è così folto che fa un’ombra grande e spessa. Per di più attira i passanti che, per prenderne i frutti rovinano e calpestano tutt’intorno.

Queste passioncelle producono danni simili all’anima; l’occupano talmente e condizionano così potentemente i suoi movimenti, che essa non è più disponibile per alcun’altra opera buona; le foglie, ossia i chiacchiericci, i divertimenti e i corteggiamenti sono così frequenti che non lasciano spazio; infine attirano così numerose le tentazioni, le distrazioni, i sospetti e tutto ciò che vi si accompagna, sicché il cuore ne è rovinato e calpestato» (185-186).

Visitation, St Louis, Missouri

Capitolo XIX - LE VERE AMICIZIE

«Ama tutti, Filotea, con un grande amore di carità, ma legati con un rapporto di amicizia soltanto con coloro che possono operare con te uno scambio di cose virtuose. Più le virtù saranno valide, più l’amicizia sarà perfetta.

Se lo scambio avviene nel campo delle scienze, la tua amicizia sarà, senza dubbio, molto lodevole; più ancora se il campo sarà quello delle virtù, come la prudenza, la discrezione, la fortezza, la giustizia.
Ma se questo scambio avverrà nel campo della carità, della devozione, della perfezione cristiana, allora sì, che si tratterà di un’amicizia perfetta. Sarà ottima perché viene da Dio, ottima perché tende a Dio, ottima perché il suo legame è Dio, ottima perché sarà eterna in Dio» (186-187).

La perfezione dunque, non consiste nel non avere amicizie, ma nell’averne una buona, santa e bella (189).

Capitolo XX - LA DIFFERENZA TRA LE VERE AMICIZIE E QUELLE FUTILI

«Bisogna fare attenzione a non lasciarsi trarre in inganno nelle amicizie, soprattutto quando si stringono tra persone di sesso diverso, poco importa per quale motivo; spesso Satana si sostituisce a coloro che amano.
[...].
Distinguerai l’amicizia mondana da quella santa e virtuosa, esattamente come si distingue il miele di Eraclea dall’altro: il miele di Eraclea è più dolce al palato del miele ordinario; è l’aconito [pianta velenosa] che gli aumenta la dolcezza; così fa abitualmente l’amicizia mondana che sforna a ripetizione quantità enormi di parole melliflue, una pioggia di frasette appassionate e di lodi sulla bellezza, la grazia e le qualità sensuali: l’amicizia sana invece ha un linguaggio semplice e schietto, loda soltanto la virtù e la grazia di Dio, unico suo fondamento.
[...].
L’amicizia santa, invece, ha occhi semplici e casti; gli atti di cortesia sono controllati e schietti; se ci sono sospiri, saranno per il cielo, le libertà solo per lo spirito, i lamenti saranno soltanto perché Dio non è abbastanza amato, prova infallibile dell’onestà» (190-191).

Visitation, Mendota Heights, Minnesota

Capitolo XXI - CONSIGLI E RIMEDI PER COMBATTERE LE CATTIVE AMICIZIE

«Sta bene attenta a non scendere a patti con il nemico; non dire: lo ascolterò, ma poi non farò nulla di quanto mi suggerirà; gli presterò orecchio, ma gli rifiuterò il cuore. Filotea, in tali circostanze, devi essere intransigente: il cuore e le orecchie sono collegati, e com’è impossibile arrestare un torrente che scende a valle dalla montagna, così è difficile impedire che l’amore entrato in un orecchio non scenda presto nel cuore.
[...] il nostro cuore respira per l’orecchio, e siccome inspira ed espira i suoi pensieri per mezzo della lingua, respira anche per l’orecchio, per mezzo del quale riceve i pensieri degli altri» (192-193).

Capitolo XXII - QUALCHE ALTRO CONSIGLIO A PROPOSITO DELLE AMICIZIE

[...] che motivo c’è di ricevere alla rinfusa difetti e imperfezioni dell’amico assieme alla sua amicizia? È evidente che bisogna volergli bene nonostante le sue imperfezioni, ma non bisogna voler bene alle sue imperfezioni e prenderle su di noi; l’amicizia richiede che ci comunichiamo il bene, non il male (196).
[...]: ciascuno ne ha abbastanza dei propri difetti senza bisogno di caricarsi anche di quelli degli altri; aggiungo che l’amicizia non soltanto non lo richiede, ma al contrario, ci obbliga a darci reciprocamente una mano per liberarci da tutte le forme di imperfezione (197).

Capitolo XXIII - GLI ESERCIZI DELLA MORTIFICAZIONE ESTERIORE

«Il digiuno e il lavoro domano e prostrano la carne. Se il lavoro che fai ti è necessario, o è molto utile alla gloria di Dio, sono del parere che sia meglio per te affrontare la fatica del lavoro che quella del digiuno; questo è il pensiero della Chiesa che dispensa anche dai digiuni comandati quelli che si consacrano a lavori utili al servizio di Dio e del prossimo.
[...].
Come principio generale è meglio conservare forze corporali più di quanto serve, che perderne più di quanto è necessario; si può sempre fiaccarle, volendolo; ma non sempre basta volerlo, per recuperarle» (200-201).

Per guarire il prurito non serve molto lavarsi e fare il bagno, quanto piuttosto purificare il sangue e rinfrescare il fegato. Allo stesso modo per sanare i nostri vizi, è bene, sì, mortificare la carne, ma più ancora è necessario purificare i nostri affetti e rinnovare il nostro cuore (204).


Capitolo XXIV - LE CONVERSAZIONI E LA SOLITUDINE

Bisogna amare il prossimo come se stessi e, per dimostrargli amore, non bisogna evitare di incontrarlo; ma per dimostrare che vogliamo bene anche a noi stessi, occorre rimanere con noi quando ne abbiamo l’opportunità (205).

[...] ci sono cose lecite che poi risultano disoneste; per mettere in evidenza, per esempio, la tua modestia, sta attenta a non diventare insolente, il che è sempre da riprovare. Fare lo sgambetto a uno, mettere in ombra un altro, pungere un terzo, fare del male a un menomato, sono scherni e soddisfazioni stupide, insolenti e anche cattive (207).

[...] penso che ogni tanto ti farebbe bene rimanere sola in camera tua, nel tuo giardino o altrove, dove ti sia possibile raccogliere il tuo spirito nel tuo cuore e ritemprare la tua anima con buoni propositi e santi pensieri, o con qualche buona lettura, come faceva quel santo vescovo di Nazianzo che parlando di se stesso diceva: Passeggiavo con me stesso al tramonto del sole e trascorrevo il tempo in riva al mare; ho questa abitudine per riposarmi e liberarmi un po’ dalle preoccupazioni quotidiane (207).

Capitolo XXV - IL BUON GUSTO E IL SENSO DELLA MISURA NEL VESTIRE

Per quello che riguarda la pulizia deve essere costante e generale; per quanto ci è possibile non lasciamo sugli abiti tracce di sporcizia e segni di trascuratezza. La pulizia esteriore indica, in una certa misura, l’onestà interiore. Dio stesso esige la pulizia esteriore in coloro che si avvicinano al suo altare, e hanno la principale responsabilità della devozione (208).

Sii sempre in ordine, Filotea; non ci deve essere niente in te che sappia di trasandato, di approssimativo, di raffazzonato: sarebbe segno di disprezzo per quelli che incontri, andare da loro con un abito indecoroso; d’altra parte evita l’affettazione, la vanità, la ricercatezza, le follie. Fin che ti è possibile rimani semplice e modesta; [...] (209).

La Visitazione, Monastero delle Visitandine, Roma

Capitolo XXVI - SUL PARLARE E IN PRIMO LUOGO COME SI DEVE PARLARE DI DIO

I medici, dall’esame della lingua di un paziente, si fanno un’opinione fondata sul suo stato di salute; per noi le informazioni valide sullo stato della nostra anima sono le parole: Dalle tue parole, dice il Salvatore, sarai giustificato e dalle tue parole sarai condannato (210).
Ma quando parli di Dio, ricordati che stai parlando di Dio, ossia che lo devi fare con rispetto e devozione, non prendendo atteggiamento di sufficienza o il tono di una predica, ma con spirito di dolcezza, di carità e di umiltà, [...]; sai bene che la soavità dei modi e l’amabilità nel proporre qualche buon suggerimento, compiono meraviglie ed hanno la forza di un invito irresistibile per i cuori (211).

Capitolo XXVII - L’ONESTÀ NELLE PAROLE E IL RISPETTO DOVUTO ALLE PERSONE

Dice S. Giacomo: Se uno non pecca in parole è un uomo perfetto. Fa scrupolosamente attenzione a non lasciarti sfuggire alcuna parola sconveniente; anche se non la dici con cattiva intenzione, coloro che l’odono, possono prenderla in tal senso (212).
Nessun vizio è così contrario alla carità, e più ancora alla devozione, quanto il disprezzo e la derisione del prossimo (213).

Capitolo XXVIII - I GIUDIZI TEMERARI

«Per non correre il rischio di essere giudicati, è assolutamente necessario evitare di giudicare gli altri: fermiamoci invece a giudicare noi stessi.
[...]
Bisogna correre ai ripari partendo dalle cause dei giudizi temerari. Ci sono dei cuori acidi, amari e aspri per natura, che rendono acido e amaro tutto quello che ricevono; costoro, secondo il detto del Profeta, mutano il giudizio in assenzio, perché non sanno giudicare il prossimo senza rigore e asprezza» (215).
E per i rimedi suggerisce: «Bevi più che puoi il sacro vino della carità; ti libererai da quegli umori perversi che ti fanno dare giudizi temerari.
La carità teme l’incontro con il male, tanto meno lo cerca; [...]. 
Per tutti i mali il grande rimedio è la carità; [...]» (217).

[...] Non c’è nulla di male nel dubitare del prossimo, perché non è proibito dubitare, ma giudicare! [...] (219).

E per finire ti dico che chi ha molta cura della propria coscienza non è quasi mai portato ai giudizi temerari; come le api vedendo la nebbia o il tempo nuvoloso si rifugiano nelle loro arnie a sistemare il miele, allo stesso modo i pensieri delle anime buone non si posano su oggetti confusi, né sulle azioni poco chiare del prossimo (219).


Capitolo XXIX - LA MALDICENZA 

La maldicenza è un vero omicidio, perché tre sono le nostre vite: la vita spirituale, con sede nella grazia di Dio; la vita corporale, con sede nell’anima; la vita civile che consiste nel buon nome. Il peccato ci sottrae la prima, la morte ci toglie la seconda, la maldicenza ci priva della terza (220-221).

Coloro che per seminare maldicenza fanno introduzioni onorifiche, e che la condiscono di piccole frasi gentili, o peggio di scherno, sono i maldicenti più sottili e più velenosi (221).

Quando parlo del prossimo, la mia bocca nel servirsi della lingua è da paragonarsi al chirurgo che maneggia il bisturi in un intervento delicato tra nervi e tendini: il colpo che vibro deve essere esattissimo nel non esprimere né di più né di meno della verità (225).

Riporta in se stesso il maldicente con buone maniere; se sai qualche cosa di bene della persona attaccata, dilla (226).

A cura di Virgilio Radici
Foto di Joe

Sunday, November 27, 2011

Foster virtues that please God

Introduction to the Devout Life
Part III: Containing Counsels Concerning the Practice of Virtue
(summary of Chapters 1-15)
Group: John Baptist Barnabas, Amaladoss Sanjone, Lijo Vadakkan

John Baptist, Amaladoss and Lijo tackle Part Three of the Devout Life
Part three of the Introduction to the Devout Life takes the theme of how-to live the Christian life even farther than the earlier chapters. In this part the author explains how to practice individual virtues. Many virtues are described here, but at the same time St. Francis de Sales urges us to work on only one or a few virtues at a time, whatever needs strengthening in us the most. Probably each "Philothea" should begin by reading over all of the chapters, not yet following any of the instructions contained within, considering each virtue in turn.

We should choose a virtue which will go with our duties and not with our taste. St.Francis suggests that we should choose the best virtues and not the highly esteemed, the  most popular and the visible virtues. Every calling demands the practice of certain virtues. In practicing the virtues we should trust in wise man’s counsel and not trust in our own wisdom. We should always think well of those who practice virues although they practice them imperfectly.

Lijo poses with two little virtues in Ethiopia
By our patience we win our souls. This is very clearly seen in the life of our Lord Jesus. Be patient in whatever God sends in our lives.  Humility is an important virtue that we should practice. We should be like empty vessels in order to get filled with God’s graces. (Prophet Elisha and the widow). A man who aims at real goodness will not be keen about outward tokens of honour. Humility is a virtue that holds God’s abundant graces. So we have to accept the objection and lowliness in order to get filled with graces and favours like Mary our mother. Humility also forbids us to aim at praise, honour and glory. We should foster our virtues because they are pleasing to God.

Humility and meekness are important for us. Humility makes our lives acceptable to God and meekness makes us acceptable to men. In the practice of humility, we should learn to live without anger.  In all our everyday affairs and duties, we should lean solely on God’s providence, by means of which alone our plans can succeed. Love alone leads to perfection. But the three chief means for acquiring it are obedience, chastity and poverty. Obedience is the consecration of the heart, chastity of the body and poverty of all wordly goods to the love and service of God.

Each one of us need the virtue of purity. Purity is the lily among virtues by which we approach the angels. There is no beauty without purity. In order to be pure, we should be modest in our seeing, hearing, speaking, smelling and touching. Try to be poor. Never desire for others goods. Love the poor and poverty, this will lead us to be poor.

Amaladoss makes a point

Synthesis by Amaladoss Sanjone
Photo service: Joe Boenzi and Lijo Vadakkan

Friday, November 25, 2011

Love and Friendships

Introduction to the Devout Life, Part III, chapters 1-15
English-speaking group
John Christy, Arokiadoss Lourdusamy and Mackley Gomes
21 November 2011


1. Honey becomes poisonous or good depending on the type of Flowers the bees collect the nectar from.

2. Love and Friendship become harmful or Growth promoting depending on the Quality of the Communication the goes on between the Persons involved in the Relationships or friendships.


3. Love, Friendships and Relationships can be very enriching and can give a foretaste of Loving Heavenly Union with God, if we practice temperance and modesty as prescribed  by the exercises suggested.


4. Faithfulness to daily duties is to be preferred to acts of penance and fasting in order to achieve a balanced personality to be able to grow in Healthy Friendly Relationships.

5. Further St. Francis de sales gives A basis for the Salesian Preventive system that aims to educate the Heart with loving kindness and build convictions rather that Lay down external norms of Bhaviour or rules for the sake of rules. “I cannot approve the methods of those who try to reform a man by beginning with outward things, such as his bearing, dress or hair. On the contrary …. Since the heart is the source of our actions…..In short , whoever wins a man’s heart has won the whole man….For this purpose I will give you in summary fashion the following words of advice” (Francis de Sales, Introduction to the devout life, translated and edited by John K. Ryan, p. 172)


Report and art layout by Mackley

Choice virtues

Introduction to the Devout Life, Part III, chapters 1-15
21 November 2011
Fr John Christy, Fr Arokiadoss Lourdusamy and Fr Mackley Gomes


Virtues perfect our daily life. Among these are Meekness, Temperance, Integrity and Humility. These virtues make our life beautiful. We need to have virtues in our life.

CHOICE OF VIRTUES

Each one should choose virtues according to our call and according to our personal charism. We must not look out for popular virtues but best virtues according to our vocation.
  • St. Francis of Assisi – Poverty
  • St. Dominic – Preaching
  • St. Elizabeth – Self Abasement

When every we live by a virtue we would be attacked by “vices”. We need to practice contrary virtues to overcome those vices. A person with Pride and Anger should practice contrary virtues like Humility and Meekness to overcome those vices.

EVALUATING THE VIRTUES
  • Time and again we need to evaluate our virtues to perfect our life better.
  • We need to have good opinion of the people who follow certain virtues even though they do it with imperfections.
  • Exceptional gifts like Ecstasy and Rapture can help but they are in no way necessary to serve God.
  • Instead of practicing tough virtues we can start from virtues which are little and easy. 
  • Virtues like patience, meekness, self mortification, humility, obedience, poverty, chastity, tenderness, diligence and Holy fervour can help us.

PATIENCE
  • It is a virtue that helps us to deal with dishonour and honour in the same manner.
  • To be humiliated by others is the test for our virtue of patience.
  • We need to extent our patience universally.
  • We have to be patience for great things and also those little things which accompany those.
  • Pains make us perfect.

SPECIAL TESTS FOR PATIENCE

When evil happens we have to patiently wait for its results. When we are falsely accused we have to do three things:
  • Accept and correct if it is true.
  • Deny it if it false.
  • Never bother if it continues and more over never try to make them accept your explanations.
ENCOURAGEMENT
We have to always remember that within each one’s soul there is Jesus Christ.
There is absolutely no need for us to be worried of anything.
We can perform great acts with patience amidst afflictions.
Allow your suffering along with Jesus who suffered for us.

HUMILITY
Humility drives the devil away from us and retains the fruits of the Holy Spirit
Humility helps us to overcome from the vain glory from earthly possessions.
All the wonderful things we have should lead us closer to God otherwise they are vain.
We need to count our blessing.
The more we know the blessing and the greater we love God.
We have to remember always “No good originates from us”.
All that is good in us comes from God.
Humble our hearts rather than lowering our eyes.
When God desires to give us grace it is our pride that refuses it.
Our Generosity is in trusting God unconditional love and mercy.
Our acts of humility that are offensive to charity is certainly false.
Worldly people hold prudence, courage and liberality in high esteem.

PRESERVING OUR GOOD NAMES
Humility prevents us from seeking praise, honour and glory.
But charity and Humility requires us to desire for our good name and preserve it.
Preserving our good reputations urges us to go forward with strength.
We must try not to too carefully safe gourd our reputation.
If someone harms our good reputations, let us not be worried.
It will return to us more beautifully and strongly.

MEEKNESS AND PEACE OF MIND

Jesus says: “Learn of me for I am meek and humble of heart”. Humility perfects us with respect to God; Generosity perfects us with respect to neighbour.

  • “When humility and meekness are good and true, they preserve us from the 
  • inflammation and swelling that injuries usually cause in our hearts.”
  • If we are proud and enraged when we are stung, it is a sure sign that in us neither humility nor meekness is genuine but only apparent and superficial.

ANGER
  • It is better to attempt to find a way to live without anger than to pretend to make a 
  • moderate, discreet use of it.
  • We must repair our anger instantly by a contrary act of meekness. Fresh wounds are 
  • quickest healed.
  • We must develop polite conversation with strangers, our neighbors and our own family.
  • Fits of anger against us tend to pride and spring from self-love.
  • A gentle, loving rebuke has far greater power to correct a person, than rage and passion.

CARE ABOUT OUR AFFAIRS
  • Care need not disturb our inner peace. Worry and anxiety always do.
  • A job done too eagerly and hurriedly is never well done.
  • Worry and anxiety disturb the reason and good judgment and so prevent us from doing well the very things we are worried about.
  • “Undertake all your affairs with a calm mind and try to dispatch them in order one after the other.”
  • “In all your affairs rely wholly on God's providence.”
  • “Be sure that if you have firm trust in God, the success that comes to you will always be that which is most useful to you.”

Annecy

Reported by: Arokiadoss

Thursday, November 24, 2011

Carità come la chiave; umiltà come il sole


La Filotea, Parte Terza, Capitoli 1-15
Gruppo in lingua italiana
Emmanuel Camilleri, Gabriel Stawowy


Emanuele e Gabriele

In questa parte, San Francesco introduce le virtù. Praticare le virtù è una scelta che va fatta con molta cura. Leggendo questa parte della Introduzione che parla su le virtù, abbiamo trovato molte similiarità con il testo di Giovanni Ruusbroec, Lo Splendore delle Nozze Spirituale. È interessante che Francesco, come Giovanni, mette la carità come la chiave per le altre virtù. Francesco scrive:
“Come la regina delle api non esce mai senza essere circondata da tutto il suo piccolo popolo, così la carità non entra mai in un cuore senza condurre al suo seguito tutte le altre virtù. Come un buon capitano le mantiene tutte in esercizio e le impiega in vari compiti...”. 

Il Santo insiste che la pratica delle piccole virtù nel quotidiano è importante se la Filotea vuole condurre una vita devota. Non perchè ci sono virtù superiori ad altri, ma perchè queste virtù sono richieste più frequentemente precisamente perchè entrano nel ordinario e non nello straordinario: “il fatto è che queste sono richieste con maggior frequenza. Lo zucchero è più buono del sale, ma il sale ha un impiego più frequente e più generale. Questa è la ragione per la quale occorre avere sempre pronta una buona provvista di queste virtù generali. Si può dire che il loro impiego sia necessario quasi ininterrottamente.” Per le altre virtù, Francesco suggerisce che non c’è bisogno di praticarle in ogni circostanza; questo è sbagliato. Filotea deve adeguarsi alle circostanze, cioè a “piangere con chi piange” e rallegrare con quelli che sono felici.

Filotea è invitata a praticare quelle virtù “più utili al compimento” del suo dovere, non a quelle che le piacciono di più anche se queste possono essere buone e raccomandabili. In questo modo lei si apre alla volontà divina. È quello che hanno fatto gli apostoli che: “istituiti per predicare il Vangelo e distribuire il pane celeste alle anime, giudicarono cosa molto ben fatta, per poter esercitare tale mansione senza distrazioni, tralasciare la pratica della virtù della cura dei poveri, che pure, in sé, è ottima.” Ogni stato di vita deve praticare una particolare virtù. Le virtù di un vescovo sono differenti da quelle di un soldato. Così le virtù sono vissute nelle proprie vocazioni. Importante che tra “le virtù che non riguardano in modo specifico il nostro stato, dobbiamo dare la preferenza alle migliori e non alle più appariscenti” cioè viverle per quelle che sono e non per essere lodevoli negli occhi degli altri: “Tu, Filotea, devi scegliere le virtù più consistenti, non quelle che godono di maggior stima; le più efficaci, non le più appariscenti; le migliori, non le più onorate.” Con questa affermazione, Francesco poi passa a dare esempi concreti dei santi che hanno vissuto qualche particolare virtù. I Santi, per Francesco, rimarrano sempre un punto di riferimento concreto per la vita devota. Invita anche la Filotea di praticare le virtù contrarie se cade in qualche vizio. In questo modo affila una particolare virtù che poi da sua parte aiuta le altre virtù a diventare più risplendenti.

I santi erano uomini e donne come noi, Francesco insiste. Molte volte loro hanno praticato le virtù in un modo imperfetto finche si sono accorti e hanno cambiato la pratica. Questo non ci deve scandarizzarci e allora da parete nostra non ci dobbiamo allora scandarizzare quando vediamo altre persone a praticare le virtù in modo imperfetto. Ma al livello personale, “dobbiamo impegnarci ad esercitarle molto seriamente, non soltanto con fedeltà, ma anche con prudenza.” Tutto questo va esguito sul parere del direttore spirituale.

Filotea non deve neanche andare a cercare qualche esperienza estatica o mistica; questa è data ad alcuni come un grazia del Singore. Filotea si deve concentrarsi sul amare Dio nel concreto, nella realtà: “Questa non è una ragione per esigere tali grazie, anche perché non sono in nessun modo necessarie per servire e amare Dio, che deve essere la nostra unica aspirazione.” Noi dobbiamo cercare di essere uomini e donne oneste “gente devota, uomini pii, donne pie; ecco perché dobbiamo impegnarci seriamente.” Se ci sarà data la grazia di elevarci in qualche esperienza mistica, allor questa è una grazia del Singore e si deve accetterla come tale. L’importante è di non essere presi dalla tentazione di cercare delle elevazioni straordinarie. Nel frattempo Filotea è invitata a cercare quelle piccole virtù che si esercitano nel quotidiano come la pazienza, la bontà, “la mortificazione del cuore, l’umiltà, l’obbedienza, la povertà, la castità, la dolcezza nei confronti del prossimo, la sopportazione delle sue imperfezioni, la diligenza e il fervore delle cose sante.”

La pazienza ci aiuta a possedere le nostre anime. La pazienza diventa più perfetta in questo modo. Dobbiamo spesso guardare il Signore che ha sofferto per noi tramite il quale lui ci ha salvati e cosi possiamo affrontare le prove di ogni giorno con pazienza. La pazienza non deve essere restretta a qualche inguria particolare ma a tutte quelle che il Singore desidera di mandare sulla nostra via. La pazienza, dunque, non è limitata. Non dobbiamo essere come quelli che desiderano di soffrire così che quando riescono a liberarsi troveranno onore e gloria. Ma l’uomo veramente “paziente, ossia chi vuole servire Dio, sopporta con animo uguale le tribolazioni unite al disonore e quelle che danno onore.” È già una prova grande sapportare le ingiurie delle persone cattive, ma sarebbe una prova più grande se quelli che ci fanno del male sono amici or parenti! Questa è la prova più grande per la pazienza!

Accettare la volontà di Dio siginifica essere pazienti, in tutte le tribolazioni. Filotea deve mostrarsi forte in tutte le circostanze, anche quando ci sono elle accuse serie nei suoi confronti. In certi casi è inutile dare delle spiegazioni a qualcuno che non vuole saperne; in tal caso, Filotea deve esercitarsi nella umiltà del cuore. Deve evitare di lamentarsi troppo, ma comunque dev’essere attenta dalle falze lamentele. Ci sono personi che decidono di non lamentarsi quando sono afflitti o malati perchè questo mostra che mancano di generozità o fermezza. Ma poi dentro il loro cuore desiderano tanto di essere al centro dell’attenzione. Questo è pazienza falza: “Il vero paziente non si lamenta del male e non desidera essere compatito; ne parla con naturalezza, sincerità e semplicità, senza lamenti, senza rimpianti, senza esagerazioni; se lo compatiscono, sopporta con pazienza i compatimenti, a meno che addirittura siano per mali che non ha; in tal caso, con molta umiltà, farà notare che quel male non l’ha e poi si manterrà con animo sereno nella pace tra la verità e la pazienza, ammettendo sì il male, ma senza lamentele.” Con la pazienza vera e autentica possiamo far nascere Gesù nel mondo. Il dolore del parto è molto forte, però quando la donna da vita ad una nuova creatura, tutto il dolore è dimenticato. Questo va detto anche per la pazienza personale: “Nella tua anima hai concepito il figlio più meraviglioso di questo mondo, Gesù Cristo. Prima che sia dato completamente alla luce e generato, può darsi che ti procuri ansia e sofferenza; ma fatti animo perché, passati quei dolori, ti rimarrà la gioia senza fine di aver dato tale uomo al mondo.” In fine, Filotea deve gurdare spesso a Cristo crocifisso e sofferente. Lei deve ricordarsi che le sue sofferenze non sono neanche comparabili con quelli del Signore. Lui ci da la consolazione nelle prove terrene.

L’umiltà esteriore ci aiuta a liberarci della vanagloria. Soltanto in questo modo noi possiamo ricevere la grazia di Dio nel nostro cuore. L’umiltà allontana Satana da noi e salvaguardia le grazie e i doni dello Spirto dentro di noi. L’umilità era il punto forte del nostro Singore, di sua Madre e dei Santi. Noi applichiamo la vanagloria, molte volte, per le cose che non possediamo dentro di noi o ad una cosa che ci appartiene e noi ci glorifichiamo in essa. Il Santo fà un paragone eccezionale in questo riguardo: “C’è gente che va superba e altera perché cavalca un bel destriero, perché ha un bel pennacchio sul cappello, perché indossa vestiti meravigliosi. Non ti pare che quella gente sia un po’ matta? Se proprio vogliamo parlare di gloria, spetta al cavallo, allo struzzo, al sarto. Ci vuole proprio un bel coraggio per prendere in prestito un po’ di stima da un cavallo, da una piuma, da una piega dell’abito!”. Dire altro è superfluo!

L’umiltà interiore va vissuta come una grazia di Dio. Molti pensano che i doni interiori che possiedono “perché temono di cadere nella vanagloria e nel vuoto compiacimento.” Ma loro sbagliano in questo riguardo. S. Tommaso d’Aquino dice che il mezzo per giungere all’amore di Dio è proprio tramite i suoi benefici. Niente ci può umiliarci effettivamente davanti a Dio come i fanno i suoi benefici e niente ci fà sentire profondamente umiliati davanti alla sua giustizia come fanno i nostri peccati. Ma dobbiamo pensare a quello che “Egli ha fatto per noi e a quello che noi abbiamo fatto contro di Lui; e, come dobbiamo pensare ai nostri peccati più piccoli, dobbiamo pensare alle sue grazie più piccole. Non dobbiamo temere che il conoscere i doni che ha posto in noi ci gonfi; è sufficiente che abbiamo sempre presente questa verità: ciò che di buono c’è in noi non viene da noi.” Dio è l’autore delle grazie e dei dono che noi possediamo dentro di noi; a Lui dobbiamo ringraziare e non i nostri meriti. Non dobbiamo essere persone che usano due faccie in situazioni diverse. Dobbiamo, invece, cercare di non parlare della nostra umiltà perchè essa si dimostra nelle cose che facciamo, nelle cose che diciamo e nei nostri comportamenti. Che siano gli altri ad osservarla in noi. Non dobbiamo usare una umiltà falsa e maliziosa, come quella di Acaz.

L’umiltà è il sole delle altre virtù. L’umiltà copre e nasconde, come il sole,  tutte le virtù e le perfezioni umane e le lascia apparire solo per il servizio della carità, “perché è una virtù del cielo, non della terra, divina, non umana: è il vero sole delle virtù sulle quali deve sempre brillare. Si può concludere che le forme di umiltà che portano pregiudizio alla carità, sono certamente false.”

Il Santo invita Filotea di amare l’abiezione sempre e in tutto. Ma che cosa vuol dire amare la propria abiezione? La risposta stà nella persona della Beata Vergine: “...la Madonna nel suo Cantico dice che, poiché il Signore ha visto l’umiltà della sua serva, tutte le generazioni la chiameranno beata, vuol dire che il Signore, con bontà, ha guardato la sua abiezione, la sua meschinità, la sua bassezza, per colmarla di grazia e di favori.” Ma c’è una differenza tra l’umiltà e l’abiezione: “l’abiezione è la pochezza, la bassezza e la meschinità che alberga in noi, senza che ci pensiamo; la virtù dell’umiltà invece, è la conoscenza veritiera e l’ammissione della nostra abiezione.” Quali sono allora le abiezioni migliori? “... quelle più utili all’anima e più gradite a Dio, sono quelle che incontriamo per caso o che sono legate alla nostra condizione; la ragione è che non le abbiamo scelte noi, ma le abbiamo ricevute come Dio ce le ha mandate. E Lui sa scegliere sempre meglio di noi.”

Come va conservato il buon nome praticando l’umiltà? L’umiltà non ci permette di avere una opinione personale sul nostro comportamento. Essa non deve andare a cercare l’onore o la gloria. Questi sono riservati a cose più eccellenti. Dobbiamo conservare le virtù perchè questo è che piace a Dio, l’oggetto delle nostre azioni. È importante difendere il Suo nome che il nostro: “nella difesa del nostro buon nome non dobbiamo essere troppo zelanti, esatti e puntigliosi”. Qesto non significa che non dobbiamo difenderci dalle callunie ma senza rabia o odio. Se facciamo della nostra reputazione un idolo, allora i nostri nemici diventano più gelosi. Guardiamo sempre l’esempio e nostro modello Gesù:
“...camminiamo al suo servizio con fiducia e semplicità, accompagnata da saggezza e devozione: sarà lui a proteggere il nostro buon nome. Se permette che ci sia tolto è solo per darcene uno migliore o per favorirci nella crescita dell’umiltà. Ricorda bene che un’oncia di umiltà vale più di mille libre di onore.” Se veniamo ripresi ingiustamente, ci dobbiamo opporre serenamente la verità alla calunnia; se persiste, insistiamo nell’umiltà. “Mettiamo il nostro buon nome, unitamente alla nostra anima nelle mani di Dio,; non potremo trovare migliore garanzia.”
Anche se siamo ingiurati, dobbiamo cercare di essere docili verso il nostro prossimo e controllare la nostra ira. L’umiltà ci fa perfetti davanti a Dio e la dolcezza ci fa crescere nella perfezione negli occhi del nostro prossimo. La dolcezza e la bonomia sono come l’olio che quando si mischia con l’aqua, remane sempre in superficie. La dolcezza e la bonomia “superano tutte le virtù ed eccellono quali splendidi fiori della carità che, stando a s. Bernardo, raggiunge la perfezione quando non è soltanto paziente, ma anche dolce e affabile.” Filotea deve salvaguardare questo olio.

Dobbiamo anche slavaguardarci dall’orgolio che è un risultato della nostra ira e mancanza d’umiltà. Invece quando “l’umiltà e la dolcezza sono vere e sincere ... ci difendono dal gonfiore e dal bruciore che le ingiurie abitualmente provocano nei nostri cuori. Ne consegue che se reagisci mostrandoti orgogliosa, gonfia d’ira, indispettita, allorché sei punta e morsicata dalle male lingue, vuole dire che la tua umiltà e la tua dolcezza non sono profonde e sincere ma soltanto superficiali ed epidermiche.”

La dolcezza è essenziale (Sacrofano)
La dolcezza verso noi stessi, allora, è essenziale. È uno “dei metodi più efficaci per conseguire la dolcezza è quello di esercitarla verso se stessi, non indispettendosi mai contro di sé e contro le proprie imperfezioni.” La ragione, si, detta che noi dobbiamo essere disgustati verso le nostre stesse imperfezioni, “ma non che ne proviamo un dispiacere distruttivo e disperato, carico di dispetto e di collera.” Se la ragione e la fede dettano che non dobbiamo mostrare questi sentimenti verso il prossimo, non li dobbiamo mostrare verso di noi stessi. Questi sentimenti verso di noi stessi portano all’orgoglio “e sono soltanto espressione di amor proprio, che si tormenta e si inquieta per le imperfezioni. Il dispiacere che dobbiamo avere per le nostre mancanze deve essere sereno, ponderato e fermo”. Le auto-correzioni “fatte con irruenza non sono proporzionate alle nostre colpe ma alle nostre inclinazioni.” Accettiamo iostri limiti con serenità e se cadiamo, rialziamoci con un cuore davvero pentito: “Rialza dunque dolcemente il tuo cuore quando cade, umiliati grandemente davanti a Dio alla conoscenza della tua miseria; ma non meravigliarti della tua caduta: è naturale che l’infermità sia malata, che la debolezza sia debole, e la miseria sia misera”.

Nel riguardo le nostre occupazioni, queste vanno affrontate con attenzione, ma senza precipitazione e fretta eccessiva. Dobbiamo essere come gli Angeli: “la cura e la diligenza sono espressione della loro carità, mentre l’ansia, l’apprensione e la fretta sarebbero contrarie al loro stato di beatitudine; giacché la cura e la diligenza possono essere compagne della serenità e della pace dello spirito; non invece l’ansia, la preoccupazione, e ancor meno l’angustia precipitosa.” Nelle nostre vicende quotidiane cerchiamo di accettare in pace le incombenze che ci capitano, e cerchiamo di portarle a termine con ordine, una dopo l’altra. Se cerchiamo di farle tutte in una volta e disordinatamente, faciamo soltanto sforzi che ci angustieranno e prostreranno il nostro spirito e finiamo quasi sempre schiacciati sotto il loro peso e senza risultato. Ecco perchè la nostra fede nella Provvidenza dev’essere sempre forte; noi dobbiamo soltanto mettere in pratica la nostra collaborazione.

Se la carità ci eleva alla perfezione, “l’obbedienza, la povertà e la castità sono i tre grandi mezzi per acquistarla”. L’obbedienza è il mezzo della consacrazione del nostro cuore. Essa può essere necessaria quando ubbidiamo umilmente ai nostri superiori, ecclesastici, civili o anche genitori o parenti. Essa “si chiama obbligatoria perché nessuno può dispensarsi dall’obbligo di ubbidire ai superiori sunnominati, perché è Dio che ha dato loro l’autorità di comandare e di governare, ognuno nei suoi limiti. Fa dunque quello che ti è comandato. È necessario.” Obbediamo anche quando le cose  sono indifferenti “quali indossare un abito anziché un altro” ma “anche nelle cose difficili, aspre e dure; quella sarà un’obbedienza perfetta”. E dobbiamo obbedire con amore verso Colui che si è fatto ubbidiente fino alla morte di Croce.

L’ubbidienza è volontaria quando “non ci è imposta da alcuno. Abitualmente il principe e il vescovo non li scegliamo noi, né il padre, né la madre; qualche volta nemmeno il marito” ma scegliamo il nostro direttore spirituale e il nostro confessore; questa è una scelta volontaria. Può darsi anche che scegliamo di fare un voto che gli ubbidiamo sempre; ma è sempre un obbedienza volontaria. Per esercitare o praticare le devozioni è sempre meglio appoggiarsi sul parere del direttore spirituale.

La castità è neccessaria se vogliamo vivere un vita devota autentica. Questa virtù è il giglio delle virtù. La castità è anche consciuta come onestà e sarebbe un onore praticarla. È anche integrità e il suo opposto è la corruzione. Francesco dice che nel matrimonio è lecito esperienzare il piacere perchè il matrimonio “con la sua santità, compensa il discredito insito nel piacere” anche se nel matrimonio ci dev’essere sempre un intenzione virtuosa. Un cuore casto è una gemma che deve soltanto permettere quello che scende dal cielo. Fuori dal matrimonio non è mai permessibile tollerare dei pensieri cattivi.
Ci sono tre gradi di questa virtù nel matrimonio:

  • In questo grado la Filotea dev’essere in guardia di non “accogliere in te alcun genere di piacere inammissibile e proibito, quali sono tutti quelli che si prendono fuori del matrimonio, o anche nel matrimonio, se si prendono contro le regole del matrimonio”.
  • Nel secondo grado “taglia, per quanto ti sarà possibile, anche i piaceri inutili e superflui, benché permessi e leciti”.
  • Nel terzo grado: “non legare il tuo affetto ai piaceri e alle soddisfazioni che sono comandate e prescritte; è vero che bisogna prendere i piaceri necessari, ossia quelli che sono legati al fine e alla natura stessa del santo matrimonio, ma non per questo devi impegnare in essi il cuore e lo spirito”.

Del resto, tutti hanno molto bisogno di questa virtù. Le vedove devono avere una castità corragiosa. Come si conserva la frutta intaccata usando lo zucchero o il miele, così anche per la castità “non ancora ferita e contaminata: sono tanti i modi per conservarla, ma una volta intaccata, può conservarla soltanto una devozione eccellente che, come ho detto spesso, è l’autentico miele e lo zucchero delle anime”.  Le vergini, invece, hanno bisogno di bandire dalle loro mente ogni pensiero che non è degno del loro stato, che “stiano bene attente; senza alcun dubbio dovranno sempre avere per certo che la castità è incomparabilmente molto meglio di tutto ciò che le è contrario”. Non si avvicinano troppo al fuoco, altrimenti si bruciano. Gli sposati possono anche loro vivere la castità. Per loro la castità non significa astinenza totale, ma significa moderazione. Tutte le persone in queste categorie sono chiamati alla castità. È il modo anche sicuro per vedere Dio e di vivere in Lui.

Flotea è invitata a conservare la castità, di stare lontana da tutto quello che può danneggiare questa virtù. Il nostro corpo è fragile e perciò va protetto. Le confidenze, anche quelle che prevengono dagli amici, sono pericolosi “La castità ha la sua radice nel cuore, ma è il corpo la sua abitazione; ecco perché si perde a causa dei sensi esteriori del corpo e per i pensieri e i desideri del cuore. Guardare, ascoltare, parlare, odorare, toccare cose disoneste è impudicizia se il cuore vi si immerge e ci prende piacere”. La castità comunque non è da conservare nel corpo ma anche nel cuore; e fa l’esempio di un santo “S. Basilio, che disse un giorno, parlando di se stesso: Non ho mai conosciuto donne eppure non sono vergine”. La castità si può perdere in tanti modi. Allora ci vuole sempre la prudenza nel parlare, nell’agire, nel sentire. Per difendersi bene in questa virtù, Filotea dev’anche scegliere bene gli amici e le persone che frequenta: “non frequentare le persone licenziose, soprattutto se in più, sono anche svergognate, il che avviene quasi sempre; sai perché? Sono come i caproni che, leccando i mandorli dolci, li rendono amari”. Alla fine, essa è invitata, ancora una volta, ad essere vicina a Gesù crocifisso, tramite la meditazione e più realmente tramite la Santa Comunione “perché allo stesso modo che coloro i quali si coricano sull’erba detta “agnus castus” diventano casti e puri, se tu riposi il cuore su Nostro Signore, che è il vero Agnello casto e immacolato, scoprirai presto che la tua anima e il tuo corpo sono mondati da tutte le sozzure e le sensualità”.

Posa il cuore tuo nel cuore di Gesù (SDB HuaHin) 
Si può essere ricchi e allo stesso tempo poveri nello spirito? Secondo il nostro Santo, quest è possibile e fattibile. Il Singore stesso dice che sono beati i poveri in spirito. Perciò quelli che sono ricchi in spirito vivono l’inferno in questo mondo! Che è ricco nello spirito? “Il ricco di spirito è quello che ha le ricchezze nel cuore e il cuore nelle ricchezze; il povero di spirito è colui che non ha né le ricchezze nel cuore, né il cuore nelle ricchezze”. Il cuore della Filotea dev’essere aperto soltanto verso il cielo e impenetrabile alle ricchezze. Anche se possiede tante cose, Filotea deve allontanarsi il cuore da essi.

C’è una differenza tra possedere del veleno ed essere avvelenata. Non si lasci che le ricchezze diventino il veleno per la sua anima: “”Essere ricco di fatto e povero nel cuore è una gran fortuna per il cristiano; in tal modo ha gli agi della ricchezza in questo mondo e il merito della povertà per ‘altro!”

C’è gente che trovano difficoltà ad ammettere che sono avari. L’avarizia “è una febbre maligna, che più è forte e bruciante e più rende insensibili” e Filotea deve cercare di starne lontana da essa. Se si possiedono delle cose si deve acquistarli e usarli in un modo giusto. Ma dev’essere sempre il distaccamento del cuore dalle cose. Le cose acquistate giustamente devono essere usate per il bene degli altri e con carità: “sono d’accordo che tu abbia cura di accrescere il tuo patrimonio e le tue possibilità, ma sempre con giustizia, con calma e carità”. Da altra parte, non è saggio desiderare le cose che non possiede and non è saggio neanche impegnarsi il cuore sulle cose che possiede.

Come praticare la povertà genuina? Filotea deve avere cura a vedere che le cose che possiede, rendono frutti con i quali si possono aiutare gli altri. Qual è la ragione? Perchè tutto quello che noi possediamo non è nostro “Dio ce l’ha affidato e vuole che lo rendiamo fruttuoso e utile; se ne abbiamo cura per bene il nostro servizio gli sarà accetto. Deve essere una cura maggiore e più continua di quella che la gente del mondo ha per i propri beni. Essi si impegnano soltanto per amore di se stessi, noi invece lavoriamo per amore di Dio” implicando così – con l’Appostolo – che quelli che desiderano la vita devota devono pensare diversamente da altre persone: noi siamo nel mondo, ma non siamo di questo mondo. Liberare il cuore da alcune cose che ne possiede aiuta la Filotea di non attacarsi troppo a questo mondo e alle cose materiali: “dobbiamo molto spesso praticare una povertà reale ed effettiva, pur vivendo circondati da tutte le ricchezze che Dio ci ha dato. Comincia col disfarti di un po’ dei tuoi beni dandoli di tutto cuore ai poveri: “...dare significa impoverirsi nella misura in cui si dà, e più darai e più sarai povera. È vero che Dio ti ricompenserà, non soltanto nell’altro mondo, ma anche in questo; infatti niente rende gli affari tanto prosperi quanto l’elemosina. Tuttavia, in attesa mancherai di quello che hai dato! Ed è una santa e ricca povertà quella procurata dall’elemosina”.


Sintesi di Manny
Servizio fotografico di Joe