FILOTEA - III parte - Capitoli da XVI a XXIX
28 novembre 2011
Il nostro gruppo è composto da: Gabor Hartai, Choi Jin Won Marco, César Oberto e Virgilio Radici.
Il nostro gruppo è composto da: Gabor Hartai, Choi Jin Won Marco, César Oberto e Virgilio Radici.
Quello messo in evidenza sono le IMMAGINI; il resto ciò che mi ha colpito. Tra parentesi tonde vi sono le pagine (edizione Paoline a cura di R. Balboni).
Virgilio, Jin-Won, Gabor |
Capitolo XVI - COME PRATICARE LA RICCHEZZA DI SPIRITO NELLA POVERTÀ REALE
«[...]; ciò che riceviamo dalla volontà di Dio senza altri interventi, gli è gradito di più, se noi l’accettiamo di cuore e per amore della sua santa volontà; quando c’è poco di nostro, c’è molto di Dio.
L’accettazione pura e semplice della volontà di Dio rende purissima la sofferenza.
[...] Così è abitualmente la povertà della gente che vive nel mondo: non sono poveri perché l’hanno voluto, ma perché ci si sono trovati, e di questo non si tiene conto; e per il fatto che di questo non si tiene conto, la loro povertà è più povera di quella dei religiosi, benché, d’altra parte, questa abbia un valore più grande e raccomandabile, a motivo del voto e dell’intenzione per cui è stata scelta» (179).
Capitolo XVII - L’AMICIZIA E, PRIMA DI TUTTO, LA CATTIVA E LA FRIVOLA
L’amicizia si differenzia secondo la diversità dei modi di comunicare e i modi di comunicare si differenziano secondo i beni che costituiscono l’oggetto dello scambio: se si tratta di beni falsi e vani, l’amicizia è falsa e vana; se si tratta di beni veri, l’amicizia è vera; e migliori saranno i beni, migliore sarà l’amicizia. Infatti, allo stesso modo che il miele raccolto dalle gemme dei fiori più deliziosi è il migliore, così l’amore fondato sullo scambio di un bene squisito è ottimo (180-181).
«L’amicizia fondata sullo scambio del piacere dei sensi è grossolana e non merita il nome di amicizia; così pure quella fondata su virtù frivole e inutili, perché sono virtù che dipendono dai sensi.
Do il nome di piaceri dei sensi a quelli che sono legati in modo diretto e principale ai sensi esteriori, quali sono il piacere di ammirare la bellezza, di ascoltare una voce dolce, di toccare e simili» (181).
Capitolo XVIII - LE PASSIONCELLE (I FLIRTS)
Quando queste allegre amicizie [si riferisce al capitolo precedente] hanno luogo tra persone di diverso sesso, senza alcuna intenzione di giungere al matrimonio, si chiamano passioncelle; [...] (182).
«Il noce reca molto danno ai campi e alle vigne in cui è piantato, perché è grande ed assorbe tutte le sostanze della terra, che così non riesce a nutrire anche le altre piante; il suo fogliame è così folto che fa un’ombra grande e spessa. Per di più attira i passanti che, per prenderne i frutti rovinano e calpestano tutt’intorno.
Queste passioncelle producono danni simili all’anima; l’occupano talmente e condizionano così potentemente i suoi movimenti, che essa non è più disponibile per alcun’altra opera buona; le foglie, ossia i chiacchiericci, i divertimenti e i corteggiamenti sono così frequenti che non lasciano spazio; infine attirano così numerose le tentazioni, le distrazioni, i sospetti e tutto ciò che vi si accompagna, sicché il cuore ne è rovinato e calpestato» (185-186).
Capitolo XIX - LE VERE AMICIZIE
«Ama tutti, Filotea, con un grande amore di carità, ma legati con un rapporto di amicizia soltanto con coloro che possono operare con te uno scambio di cose virtuose. Più le virtù saranno valide, più l’amicizia sarà perfetta.
Se lo scambio avviene nel campo delle scienze, la tua amicizia sarà, senza dubbio, molto lodevole; più ancora se il campo sarà quello delle virtù, come la prudenza, la discrezione, la fortezza, la giustizia.
Ma se questo scambio avverrà nel campo della carità, della devozione, della perfezione cristiana, allora sì, che si tratterà di un’amicizia perfetta. Sarà ottima perché viene da Dio, ottima perché tende a Dio, ottima perché il suo legame è Dio, ottima perché sarà eterna in Dio» (186-187).
La perfezione dunque, non consiste nel non avere amicizie, ma nell’averne una buona, santa e bella (189).
Capitolo XX - LA DIFFERENZA TRA LE VERE AMICIZIE E QUELLE FUTILI
«Bisogna fare attenzione a non lasciarsi trarre in inganno nelle amicizie, soprattutto quando si stringono tra persone di sesso diverso, poco importa per quale motivo; spesso Satana si sostituisce a coloro che amano.
[...].
Distinguerai l’amicizia mondana da quella santa e virtuosa, esattamente come si distingue il miele di Eraclea dall’altro: il miele di Eraclea è più dolce al palato del miele ordinario; è l’aconito [pianta velenosa] che gli aumenta la dolcezza; così fa abitualmente l’amicizia mondana che sforna a ripetizione quantità enormi di parole melliflue, una pioggia di frasette appassionate e di lodi sulla bellezza, la grazia e le qualità sensuali: l’amicizia sana invece ha un linguaggio semplice e schietto, loda soltanto la virtù e la grazia di Dio, unico suo fondamento.
[...].
L’amicizia santa, invece, ha occhi semplici e casti; gli atti di cortesia sono controllati e schietti; se ci sono sospiri, saranno per il cielo, le libertà solo per lo spirito, i lamenti saranno soltanto perché Dio non è abbastanza amato, prova infallibile dell’onestà» (190-191).
Capitolo XXI - CONSIGLI E RIMEDI PER COMBATTERE LE CATTIVE AMICIZIE
«Sta bene attenta a non scendere a patti con il nemico; non dire: lo ascolterò, ma poi non farò nulla di quanto mi suggerirà; gli presterò orecchio, ma gli rifiuterò il cuore. Filotea, in tali circostanze, devi essere intransigente: il cuore e le orecchie sono collegati, e com’è impossibile arrestare un torrente che scende a valle dalla montagna, così è difficile impedire che l’amore entrato in un orecchio non scenda presto nel cuore.
[...] il nostro cuore respira per l’orecchio, e siccome inspira ed espira i suoi pensieri per mezzo della lingua, respira anche per l’orecchio, per mezzo del quale riceve i pensieri degli altri» (192-193).
Capitolo XXII - QUALCHE ALTRO CONSIGLIO A PROPOSITO DELLE AMICIZIE
[...] che motivo c’è di ricevere alla rinfusa difetti e imperfezioni dell’amico assieme alla sua amicizia? È evidente che bisogna volergli bene nonostante le sue imperfezioni, ma non bisogna voler bene alle sue imperfezioni e prenderle su di noi; l’amicizia richiede che ci comunichiamo il bene, non il male (196).
[...]: ciascuno ne ha abbastanza dei propri difetti senza bisogno di caricarsi anche di quelli degli altri; aggiungo che l’amicizia non soltanto non lo richiede, ma al contrario, ci obbliga a darci reciprocamente una mano per liberarci da tutte le forme di imperfezione (197).
Capitolo XXIII - GLI ESERCIZI DELLA MORTIFICAZIONE ESTERIORE
«Il digiuno e il lavoro domano e prostrano la carne. Se il lavoro che fai ti è necessario, o è molto utile alla gloria di Dio, sono del parere che sia meglio per te affrontare la fatica del lavoro che quella del digiuno; questo è il pensiero della Chiesa che dispensa anche dai digiuni comandati quelli che si consacrano a lavori utili al servizio di Dio e del prossimo.
[...].
Come principio generale è meglio conservare forze corporali più di quanto serve, che perderne più di quanto è necessario; si può sempre fiaccarle, volendolo; ma non sempre basta volerlo, per recuperarle» (200-201).
Per guarire il prurito non serve molto lavarsi e fare il bagno, quanto piuttosto purificare il sangue e rinfrescare il fegato. Allo stesso modo per sanare i nostri vizi, è bene, sì, mortificare la carne, ma più ancora è necessario purificare i nostri affetti e rinnovare il nostro cuore (204).
Capitolo XXIV - LE CONVERSAZIONI E LA SOLITUDINE
Bisogna amare il prossimo come se stessi e, per dimostrargli amore, non bisogna evitare di incontrarlo; ma per dimostrare che vogliamo bene anche a noi stessi, occorre rimanere con noi quando ne abbiamo l’opportunità (205).
[...] ci sono cose lecite che poi risultano disoneste; per mettere in evidenza, per esempio, la tua modestia, sta attenta a non diventare insolente, il che è sempre da riprovare. Fare lo sgambetto a uno, mettere in ombra un altro, pungere un terzo, fare del male a un menomato, sono scherni e soddisfazioni stupide, insolenti e anche cattive (207).
[...] penso che ogni tanto ti farebbe bene rimanere sola in camera tua, nel tuo giardino o altrove, dove ti sia possibile raccogliere il tuo spirito nel tuo cuore e ritemprare la tua anima con buoni propositi e santi pensieri, o con qualche buona lettura, come faceva quel santo vescovo di Nazianzo che parlando di se stesso diceva: Passeggiavo con me stesso al tramonto del sole e trascorrevo il tempo in riva al mare; ho questa abitudine per riposarmi e liberarmi un po’ dalle preoccupazioni quotidiane (207).
Capitolo XXV - IL BUON GUSTO E IL SENSO DELLA MISURA NEL VESTIRE
Per quello che riguarda la pulizia deve essere costante e generale; per quanto ci è possibile non lasciamo sugli abiti tracce di sporcizia e segni di trascuratezza. La pulizia esteriore indica, in una certa misura, l’onestà interiore. Dio stesso esige la pulizia esteriore in coloro che si avvicinano al suo altare, e hanno la principale responsabilità della devozione (208).
Sii sempre in ordine, Filotea; non ci deve essere niente in te che sappia di trasandato, di approssimativo, di raffazzonato: sarebbe segno di disprezzo per quelli che incontri, andare da loro con un abito indecoroso; d’altra parte evita l’affettazione, la vanità, la ricercatezza, le follie. Fin che ti è possibile rimani semplice e modesta; [...] (209).
La Visitazione, Monastero delle Visitandine, Roma |
Capitolo XXVI - SUL PARLARE E IN PRIMO LUOGO COME SI DEVE PARLARE DI DIO
I medici, dall’esame della lingua di un paziente, si fanno un’opinione fondata sul suo stato di salute; per noi le informazioni valide sullo stato della nostra anima sono le parole: Dalle tue parole, dice il Salvatore, sarai giustificato e dalle tue parole sarai condannato (210).
Ma quando parli di Dio, ricordati che stai parlando di Dio, ossia che lo devi fare con rispetto e devozione, non prendendo atteggiamento di sufficienza o il tono di una predica, ma con spirito di dolcezza, di carità e di umiltà, [...]; sai bene che la soavità dei modi e l’amabilità nel proporre qualche buon suggerimento, compiono meraviglie ed hanno la forza di un invito irresistibile per i cuori (211).
Capitolo XXVII - L’ONESTÀ NELLE PAROLE E IL RISPETTO DOVUTO ALLE PERSONE
Dice S. Giacomo: Se uno non pecca in parole è un uomo perfetto. Fa scrupolosamente attenzione a non lasciarti sfuggire alcuna parola sconveniente; anche se non la dici con cattiva intenzione, coloro che l’odono, possono prenderla in tal senso (212).
Nessun vizio è così contrario alla carità, e più ancora alla devozione, quanto il disprezzo e la derisione del prossimo (213).
Capitolo XXVIII - I GIUDIZI TEMERARI
«Per non correre il rischio di essere giudicati, è assolutamente necessario evitare di giudicare gli altri: fermiamoci invece a giudicare noi stessi.
[...]
Bisogna correre ai ripari partendo dalle cause dei giudizi temerari. Ci sono dei cuori acidi, amari e aspri per natura, che rendono acido e amaro tutto quello che ricevono; costoro, secondo il detto del Profeta, mutano il giudizio in assenzio, perché non sanno giudicare il prossimo senza rigore e asprezza» (215).
E per i rimedi suggerisce: «Bevi più che puoi il sacro vino della carità; ti libererai da quegli umori perversi che ti fanno dare giudizi temerari.
La carità teme l’incontro con il male, tanto meno lo cerca; [...].
Per tutti i mali il grande rimedio è la carità; [...]» (217).
[...] Non c’è nulla di male nel dubitare del prossimo, perché non è proibito dubitare, ma giudicare! [...] (219).
E per finire ti dico che chi ha molta cura della propria coscienza non è quasi mai portato ai giudizi temerari; come le api vedendo la nebbia o il tempo nuvoloso si rifugiano nelle loro arnie a sistemare il miele, allo stesso modo i pensieri delle anime buone non si posano su oggetti confusi, né sulle azioni poco chiare del prossimo (219).
Capitolo XXIX - LA MALDICENZA
La maldicenza è un vero omicidio, perché tre sono le nostre vite: la vita spirituale, con sede nella grazia di Dio; la vita corporale, con sede nell’anima; la vita civile che consiste nel buon nome. Il peccato ci sottrae la prima, la morte ci toglie la seconda, la maldicenza ci priva della terza (220-221).
Coloro che per seminare maldicenza fanno introduzioni onorifiche, e che la condiscono di piccole frasi gentili, o peggio di scherno, sono i maldicenti più sottili e più velenosi (221).
Quando parlo del prossimo, la mia bocca nel servirsi della lingua è da paragonarsi al chirurgo che maneggia il bisturi in un intervento delicato tra nervi e tendini: il colpo che vibro deve essere esattissimo nel non esprimere né di più né di meno della verità (225).
Riporta in se stesso il maldicente con buone maniere; se sai qualche cosa di bene della persona attaccata, dilla (226).
A cura di Virgilio Radici
Foto di Joe
No comments:
Post a Comment