La Filotea Parte Terza, Capitoli 30-41
Gruppo in lingua italiana:
Emmanuel Camilleri, con Gabriel Stawowy
Emmanuel Camilleri e Gabriel Stawowy |
Nel capitolo 30, il Santo continua a dare consigli sul parlare. Lui suggerisce che il parlare sia “pacato, schietto, sincero, senza fronzoli, semplice e veritiero. Tienti lontano dalla doppiezza, dall’astuzia e dalle finzioni”. Non è mai lecito dire le bugie, e non ci sono scuse per dirle. Dio è Dio della verità. Se uno dice una bugie senza essere cosciente del fatto, allora si deve chiedere scusa perchè “le scuse sincere hanno più delicatezza e più forza convincente per scusarci di qualunque menzogna”.
Ci sono, comunque, delle circostanze serie nel quale è permesso “con prudenza e discrezione, alterare e nascondere la verità con un giro di parole”. Ma questo quando c’è la certezza che quello che si fa lo si fa e richiesto per la gloria di Dio e verso il suo servizio, fuori da queste circostanze “i giri di parole o le astuzie verbali sono pericolose perché, come dice la Parola di Dio, lo Spirito Santo non abita in un’anima falsa e doppia”. Il Santo raccomanda anche di camminare con semplicità perchè così si avanza con fiducia. Ma la menzogna, la doppia faccia e la simulazione sono segno di uno spirito debole.
Il Santo non chiede a Filotea di non parlare o di parlare poco, ma di non dirne inutili parole perchè quello che è importante non è tanto la quantità delle parole ma la qualità. Secondo il Santo savioardo “bisogna evitare i due estremi: darsi troppo un contegno sostenuto e severo, rifiutandosi di partecipare alla conversazione familiare, il che mi sembra che denoti mancanza di fiducia e anche un certo disprezzo degli altri; d’altra parte il ciarlare e il cicalare senza soste, senza mai lasciare spazio agli altri per dire una sola parola, sarebbe segno di leggerezza e insulsaggine”. Suggerisce anche di non parlare nell’orecchio di qualcuno in presenza di altri per non dare spazio al sospetto.
Nei divertimenti semplici, si usa la misura giusta |
Ci sono dei giochi che, secondo il nostro Santo, sono proibiti. Questi sono quei giochi dove “la vittoria dipende più dalla fortuna che altro”. Questi sono anche pericolosi. Ma dov’è tutto questo male? In questi giochi non è la ragione che dà la vittoria ma il caso, cioè vince quello che non merita di vincere. In questo caso la ragione è umiliata. In oltre, questi giochi “hanno il nome di divertimenti e sono fatti per questo; e invece proprio non lo sono, ma sono soltanto occupazioni a tempo pieno”. Lui riferisce qui per i giochi dei dadi e delle carte. In più questi giochi creano un tensione e perciò non son divertenti perchè temgono lo spirito caricato e teso “da un’attenzione continua, e agitato da insistenti inquietudini, ansie e paure”. Durante questi giochi non “si può parlare, non si può ridere, nemmeno tossire, altrimenti i giocatori si stizziscono”. Poi sembra che non c’è mai gioia se uno non vince. Questi giochi spingono l’individuo di desiderare sempre a vincere. Poi se uno vince lo fa a scapito del compagno. Questi soni le ragioni perchè questi giochi sono proibiti.
Divertimenti semplici: una passeggiata a Point Reyes sul Pacifico |
Il Santo passa ad avvertire in che modo possono affettuare l’anima questi balli. Usa i funghi come paragone. I funghi assorbono tutto quello che velenoso intorno a loro. Nello stesso modo “I balli, le danze e simili riunioni equivoche ordinariamente assorbono tutti i vizi e i peccati che dominano in un ambiente: le dispute, le invidie, le beffe, gli amori folli. Allo stesso modo che il ballo apre i pori del corpo di coloro che vi si impegnano, contemporaneamente apre anche i pori del cuore; per cui, se qualche serpente, approfittando dell’occasione, viene a sussurrare qualche parola lasciva all’orecchio, qualche corteggiamento, qualche moina, o addirittura qualche basilisco viene a gettare sguardi impudichi, occhiate d’amore, i cuori sono molto arrendevoli e si lasciano facilmente conquistare ed avvelenare”. Dopo i balli che Filotea non può evitare per qualche motivo, lei è invitata a fare “qualche santa e buona riflessione, per bloccare le impressioni pericolose che il piacere che hai provato potrebbe aver risvegliato nella tua anima”. Filotea è invitata a pensare un pò cosa stav succedendo quando lei ballava. È un esercizio più che altro per mantenere l’anima sulla guardia e anche su ogni eventualità che può succedere a lei se si dà dentro i balli. Lei deve avere sempre lo sguardo sull’eternità.
Giocare e danzare, secondo Francesco, sono leciti quando si fanno per divertimento e non per affetto e devono essere per un breve tempo. Ma quando si può giocare e danzare? “...gioca e danza alle condizioni che ti ho indicato, quando te lo consiglieranno la prudenza e la discrezione per accondiscendere e far piacere all’onesta compagnia nella quale ti troverai; la condiscendenza è figlia della carità e come tale rende buone le azioni indifferenti e permesse quelle pericolose”. Facendo così, la Filotea riesce perfino a togliere la malizia in quei giochi, cioè a darli un svolta differente.
Francesco poi passa a parlare della fedeltà nelle occasione piccole e grandi. Comincia a dare via all’argomento dagli occhi. Perché? Essi sono, secondo lui, “nessuna è più nobile dell’occhio, sia per la sua perfezione come organo, sia per la sua attività; e niente è più trascurabile di un capello”. Lo Sposo Divino vuole che noi capiamo che non gli sono accette solo “le opere importanti dei devoti, ma anche le minori e quelle che sembrano di nessun conto”. Lui sarà contento se noi lo serviamo nelle piccole e nelle grandi cose. Questo significa che Filotea deve essere preparata a soffrire grandi afflizioni per il Singore a decidersi di fargli dono di quanto hadi più prezioso “sempre che si degni di accettare: padre, madre, fratello, marito, moglie, figli, i tuoi occhi e la tua vita; a tutto ciò devi preparare il cuore”.
Quando la Divina Providenza ci manda afflizioni acute e pesanti non ci chiede l’occhio! Ma almeno noi li dobbiamo dare i capelli! Francesco vuol dire di sopportare “con dolcezza le piccole offese, gli inconvenienti insignificanti, quelle sconfitte da poco sempre all’ordine del giorno; per mezzo di tutte queste piccole occasioni, usate con amore e direzione”, conquisteremo totalmente il cuore del Singore e lo faremo nostro. Come usiamo con amore gli afflizioni? “I piccoli gesti quotidiani di carità, un mal di testa, un mal di denti, un lieve malessere, una stranezza del marito o della moglie ... a farla breve, tutte le piccole contrarietà accettate e abbracciate con amore fanno infinitamente piacere alla Bontà divina, che, per un bicchiere d’acqua, ha promesso il mare della felicità completa ai fedeli; e siccome queste occasioni si presentano in continuazione, servirsene bene è un mezzo sicuro per accumulare grandi ricchezze spirituali”.
Dobbiamo dare importanza alle occasioni piccole |
La ragione donata a noi da Dio ci fa diversi dagli animali. Questo dono della ragione ci guida, allora, ad essere giusti e ragionevoli. Ma, purtroppo, molti non usano la ragione. Questo sarebbe “perché l’amor proprio abitualmente offusca la ragione, e insensibilmente ci conduce a mille generi di ingiustizie e cattiverie, piccole sì, ma pericolose, che, come le piccole volpi di cui parla il Cantico dei Cantici, distruggono le vigne: essendo piccole nessuno ci fa caso ma siccome sono numerose, producono seri danni. ‘Non pensare che quello che ora dirò siano cattiverie e discorsi senza fondamento”. Molte volte accusiamo gli altri e perdoniamo noi stessi per ancanze più grandi. Sembra, in qualche occassione, che noi abbiamo due cuori “ne abbiamo uno dolce e cortese per noi, e uno duro, severo, intransigente per il prossimo. Usiamo due pesi: uno per pesare le nostre comodità, caricando il più possibile, l’altro per pesare quelle del prossimo, alleggerendo più che possiamo. La Scrittura dice che le labbra ingannatrici hanno parlato in un cuore e in un cuore: con ciò vuol dire che hanno due cuori; avere due pesi: uno forte, per riscuotere e un altro leggero, per pagare, è cosa abominevole davanti a Dio”.
Il Santo invita la Filotea di essere costante e gusta nelle sue azioni. Si deve mettersi al posto del prossimo e mettere lui al suo. In questo modo essa può giudicare rettamente. Le suggerisce “quando compri fa la venditrice e quando vendi fa la compratrice e vedrai che riuscirai a vendere e comprare secondo giustizia”. È vero, sono piccole ingiustizie, ma non c’è nessuna scusa per correggerci. Spesso dobbiamo eseminare il cuore “per vedere se verso il prossimo si comporta” come vorremo che si comportasse lui nei nostri confronti se noi fossimo al suo posto; “qui sta la ragionevolezza”.
Nel capitolo seguente parla dei desideri. Invita a tenersi lontani dai desideri di cose viziose perché il desiderio del male ci rende cattivi. Lui aggiunge di “non desiderare le cose che sono pericolose per l’anima, come i balli, i giochi e i passatempi in genere; non desiderare le cariche e gli onori, nemmeno le visioni e le estasi, perché in queste cose c’è un grave pericolo di vanità e di inganno. Non desiderare le cose molto lontane nel tempo, ossia che per lungo tempo non potranno capitare, cosa che fanno molti stancando ed impoverendo inutilmente i loro cuori; per di più si mettono in una situazione di continua agitazione”. Se un giovane desidera un incarico che ancora non può avere, quel desiderio non gli serve a niente; è un desderio inutile. Questi desideri occupano il posto di altri desideri che dobbiamo avere e cioè la pazienza, la rassegnazione, la mortificazione, l’obbedienza, la dolcezza verso le nostre sofferenze. E quello che Dio vuole da noi nel momento presente!
Ognuno è chiamato a vivere la sua propria vocazione. Non ha alcun senso desiderare un altra vita di un altro genere diversa dalla sua. Ciò “distrae il cuore e lo rende fiacco per i doveri che gli sono propri... Non vorrei nemmeno che si desiderassero i mezzi che non si hanno per servire Dio. Questo per i desideri che distraggono il cuore; quanto invece al semplice augurio, non porta alcun danno; l’importante è che non sia troppo insistente”.
Sotto la guida del direttore spirituale, Filotea deve cercare di scegliere tra tanti desideri quelli che può attuare e portare a compimento nel momento presente. Su questi di deve impegnarsi molto e non correre dietro is sogni. Chiede a Filotea di non “accantonare nessun genere di desideri” ma di “metterli in ordine”. Ci saranno dei desideri che desideriamo ottenere. Su questi scrive che se non si può realizzare ora di metterli “da parte, in un angolino del tuo cuore, fino a che non giunga il loro momento; nel frattempo realizza quelli che sono maturi e di stagione. Quello che dico non vale soltanto per i desideri spirituali, ma anche per quelli del mondo: se non riusciamo ad agire in questo modo saremo sempre anime inquiete e nell’affanno”.
Filotea si decide di portare a compimento il dovere del momento attuale |
È stato il Signore Dio a presentare Eva ad Adamo. Queto fà dall’amore tra i due un amore santo, sacro e divino. Da qui escono allora tre effetti di questo amore: “Il primo effetto di questo amore è l’unione indissolubile dei vostri cuori...Dio unisce l’uomo e la donna con il proprio sangue; ecco perché questa unione è così forte che sarà più facile che l’anima si separi dal corpo che il marito dalla moglie. Questa unione va intesa in primo luogo riferita al cuore, all’affetto, all’amore e non al corpo”. Il secondo effetto di questo amore “deve essere la fedeltà inviolabile di uno per l’altra ... La Chiesa, tramite il sacerdote, benedice un anello e in primo luogo lo consegna all’uomo, per significare che in questo modo marca e sigilla il suo cuore con questo Sacramento, perché in esso non entri mai più il nome o l’amore di un’altra donna, finché vivrà colei che gli è stata data; poi lo sposo mette l’anello nella mano della sposa perché anche lei sappia che mai più in seguito il suo cuore dovrà accogliere affetto per un altro uomo diverso da quello che il Signore le ha dato, finché vivrà su questa terra”. Infine, il terzo frutto o effetto del matrimonio è la generazione dei figli, la legittima generazione, e la loro crescita: “Voi, sposi, godete di un onore molto grande, giacché Dio, volendo Moltiplicare le anime che lo lodino e lo benedicano per l’eternità, vi ha scelto per cooperare a un così grande disegno, affidandovi la generazione dei corpi nei quali egli fa scendere come gocce celesti le anime che crea appositamente per infonderle in quei corpi”.
Per questo i mariti devono rispettare le loro mogli e nutrirle di un amore tenero, costante e profondo. Quando la donna si sente debole in corpo o in spirto questo non dovrebbe creare nell’uomo qualche risentimento ma “una dolce e amorevole comprensione, perché è Dio che le ha create così”. Le donne devono amare i mariti con tenerezza e cordialità perchè loro sono stati dati in dono da Dio. Insiste molto sull’amore reciproco e di combattere la gelosia: “capita spesso che le mele più delicate e più mature abbiano il verme; la stessa cosa può capitare tra gli sposi: dall’amore più ardente e premuroso può nascere il verme della gelosia che guasta e fa marcire tutto. Comincia con le discussioni, poi le discordie e infine le divisioni. La gelosia non potrà mai entrare dove c’è un’amicizia reciproca fondata sulla virtù sincera; infatti la gelosia è segno di un amore sensuale e che cresce dove trova una virtù manchevole, incostante e diffidente”. Come esempio e modelli per loro devono guardare i Santi e le Sante sposati o sposate perché “L’amore e la fedeltà unite insieme generano sempre libertà e confidenza; ecco perché i Santi e le Sante nel matrimonio hanno usato di molte reciproche carezze, carezze piene d’amore, ma caste; tenere, ma sincere”.
San Francesco suggerisce di celebrare l’anniversario del matrimonio, una abitudine usata già al tmepo di San Gregorio Nazianzeno. Introdurla però nella perspettiva giusta purché “non fosse la copertura per divertimenti mondani e sensuali, ma che i mariti e le mogli, confessati e comunicati in quel giorno, raccomandassero a Dio, con un fervore più intenso che d’abitudine, il progresso del loro matrimonio, e rinnovassero i buoni propositi di santificarlo sempre più con un’amicizia e una fedeltà reciproca; sarebbe il modo di riprendere fiato in Nostro Signore per sopportare sempre meglio il peso della loro vocazione”.
Sposi novelli, John e Megan, 2011 |
Questo amore porta ad esercitare l’onestà nel letto martimoniale il quale dev’esser immacolato “ossia non contaminato da impudicizie e altre innominabili brutture”. Il Santo fa un paragone tra il piacere nel mangiare e il piacere sessuale: i due hanno a che fare con la carne. Dopo aver dato dei punti come paragone, egli dice che in verità “il rapporto matrimoniale che di natura sua è così santo, giusto e raccomandabile, tanto utile alla società, in certi casi può diventare pericoloso per gli interessati; sì, perché qualche volta rende le loro anime molto malate di peccato veniale, questo con i semplici eccessi;(come si può far male con il cibo eccessivo) ma qualche altra volta le fa addirittura morire con il peccato mortale, come quando viola e perverte l’ordine naturale stabilito per la generazione dei figli, nel qual caso, in proporzione alla gravità della violazione di quell’ordine, i peccati, sempre mortali, possono risultare più o meno esecrabili. Siccome la procreazione dei figli è il primo e principale fine del matrimonio, non ci si può mai scostare dall’ordine da esso richiesto, anche se per causa di qualche altra circostanza non dovesse essere conseguito: esempi, la sterilità o la gravidanza in corso, nei quali casi evidentemente non c’è procreazione; in tali circostanze il commercio corporale non cessa di essere giusto e santo, sempre che siano osservate le regole per la generazione, perché nessuna circostanza potrà mai togliere valore alla legge imposta dal fine principale del matrimonio”.
Dopo una relazione matrimoniale avvenuta nel letto, il Santo suggerisce di purificarsi i cuori per “non rimanere impantanati col cuore nelle sensualità e nei piaceri provati secondo la loro condizione; ma una volta passati, bisogna lavarne il cuore e gli affetti, purificarsi il più presto possibile, per potere in seguito, in libertà di spirito, affrontare le altre azioni più pulite ed elevate del proprio stato”.
Poi passa parlare di quelli che hanno avuto l’esperienza del matrimonio ma che ora si sono trovati vedovi. La vedova “deve essere non soltanto vedova di corpo, ma anche di cuore, ossia deve aver deciso, con una ferma risoluzione, di mantenersi nello stato di una casta vedovanza”. Lui dice che le vedove che hanno intenzione di risposarsi sono separati dagli uomini solo in corpo, ma non nella loro intenzione. Le vedove vere che desiderano rianare tale, possono fare un voto per sentirsi più stabili. Una vedova, offrendo il suo cuore con un voto a Dio “il suo corpo e la sua castità, aggiungerà un bell’ornamento alla vedovanza e metterà al sicuro la sua decisione”. Il voto di rinunciare alle nozze, dev’essere fatto senza secondi fini e con semplicità “per rivolgere con maggiore purezza tutti i propri affetti a Dio, e unire il proprio cuore, con tutte le sue parti, a quello della divina Maestà; anche il desiderio di lasciare ricchezze ai figli o qualche altro progetto urnano, può offrire alla vedova motivo di rimanere nella vedovanza, e probabilmente ne riceverà anche lodi, ma non davanti a Dio, giacché davanti a Dio niente può ricevere lode autentica se non è fatto per Lui”. Infine, una vedova vera, dev’essere pronta a distaccarsi dalle gioie del mondo e privarsene volontariamente. Non si deve pretendere d’essere vedova e poi cerca i corteggiamenti; dev’essere veramente vedova nel cuore e nel corpo.
La vedova che ha ancora figli bisognosi di lei e della sua guida e formazione, non può abbandonarli per distaccarsi dal mondo; per nessuna ragione lei smette di essere madre per loro, di nutrire le loro anime con sapienza e amore. Nel caso che i figli sono ormai indipendenti e possono badare a loro stessi allora “la vedova deve raccogliere tutti i suoi affetti e pensieri per impegnarli più puramente al suo avanzamento nell’amore di Dio”. Lei è invitata a non immischairsi nelle vicende legali e se è chiamata per questo lo fa con un metodo pacifico. È invitata alla preghiera siccome ora deve nutrire amore solo per Dio perché il marito non c’è più. Essa cerca anche di praticare le virtù, le propie virtù della vedova, cioè “il totale riserbo, la rinuncia agli onori, al rango, alle riunioni, ai titoli e simili vanità; il servizio dei poveri e degli ammalati, la consolazione degli afflitti, l’iniziazione delle ragazze alla vita devota, e quella di rendersi un perfetto esempio di ogni virtù per le giovani donne”. La pulizia e la semplicità siano i due elementi che la guidano nel vestirsi; la carità e l’umiltà guidano le sue azioni; l’onestà e il tratto gentile guidano le sue conversazioni; il riserbo e la pudicizia, guidano i suoi occhi. Infine, lei gurada Gesù Cristo Crocifisso come il suo unico amore del suo cuore.
Un ultima parola è rivolta alle vergini. Se loro aspirano per il matrimonio, devono conservare il loro amore per il primo marito. Non li deve offrire un cuore “già usato, adulterato e consumato nell’amore”. Questo sarebbe un inganno. Ma se loro hanno l’intenzione di consacrarsi totalmente al Signore dove trovano la loro felicità delle verginali nozze spirituali allora devono conservare “l’amore nel modo più delicato possibile, per lo Sposo divino che, essendo la Purezza incarnata, nulla gradisce quanto questa virtù. A Lui dobbiamo tutte le primizie, ma principalmente quelle dell’amore”. In ogni caso, esse sono invitate a cercare una guida sotto la quale condotta loro possono santamente consacrare il loro cuore e il loro corpo alla Divina Maestà.
Testo: Manny Camilleri
Fotografie di Joe
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